La
società non lascia di raccomandare e rammentare ai suoi poeti, ai
suoi filosofi e storici di guardarsi dalle passioni e dalle tendenze
della politica. La verità universale, la pura umanità non si
ottiene, infatti, nelle opere loro se non col superare le particolari
passioni e tendenze, quali sono per eminenza quelle che si raccolgono
sotto il nome di "politica".
Né
è possibile, nell'atto di affisarsi all'eterno oltrepassando gli
interessi pratici particolari, favorire o promuovere uno o l'altro
qualsiasi di questi; o possibile solamente in apparenza, mercè un
inganno più o meno destramente condotto, che, se giova talvolta i
fini del politico, copre di rossore e di sdegno il volto di chi
riverisce la castità del bello e del vero, e sente, con quel fatto o
con quell'invito, offesa alla dignità morale e minacciate le radici
stesse della propria vita migliore.
E
il cosiddetto poeta o filosofo o storico, che si acconcia ad eseguire
quel gioco di apparenze e a maneggiare quell'inganno, in quanto fa
ciò non è niente di quel che asserisce di essere, ma è anche lui
un politico, o, piuttosto, asservito ai politici, e però in cattiva
coscienza, in contraddizione col presunto suo carattere di libero
spirito, con l'ufficio che ha preso ad esercitare, con l'implicito
giuramento che ha dato a se stesso e alla società di non venir meno
a quel suo proprio dovere.
Salvo
il caso, (che bisogna pur salvare, perché "infinita è la
schiera degli sciocchi"), della sciocchezza in certo modo
innocente che non sa bene quel che fa, sempre in fondo a simili
illecite operazioni si ritrova qualche motivo di comodo e di utile
personale, un timore di danno e una speranza di vantaggio da
conseguire; e si può, dunque, in presenza di quei prodotti pseudo
artistici e pseudo scientifici, sempre domandare, con sicurezza di
ben domandare, ai loro autori: "Che cosa ne avete avuto in
cambio? Quanto vi è stato pagato?
Il
filosofo, lo storico, il poeta non chiede e non riceve, perché non
gli si può dare, nessuna "cosa in cambio"; e lancia il suo
strale d'oro contro il sole, e guarda e gode e più non vuole, o
vuole soltanto che gli altri godano con lui e a gara lancino altri
simili strali lucenti.
E
un'altra raccomandazione o esortazione la società rivolge ai cultori
del bello e del vero, che è di astenersi, in quanto persone
pratiche, dal partecipare alla politica attiva, o, perlomeno, dal
pretendere in essa a una parte importante e dirigente.
Benedetto Croce |
Tra
le attitudini e capacità che bisogna coltivare, tra le esperienze
che bisogna raccogliere nell'una e nell'altra cerchia, c'è una
diversità che par quasi opposizione: che gli uni, i cultori del
bello e del vero, mettono in relazione idee e disposano immagini, e
gli altri, i politici, maneggiano e accordano e contrappongono uomini
e passioni e interessi, sicché la forza degli uni è la debolezza
degli altri.
L'uomo
della contemplazione e della meditazione, tirato nell'agone delle
lotte politiche, può rendere scarsi servigi e talvolta fare qualche
disservizio; e, a ogni modo, quelli scarsi servigi non compensano la
società del danno che le viene dal distogliersi di lui e dal lavoro
per il quale è nato e al quale è preparato.
Questa
seconda raccomandazione ed esortazione non ha il carattere assoluto
della prima, perché gli uomini della contemplazione e della
meditazione, non sono astratti spiriti contemplanti e meditanti, ma
uomini, e se la linea fondamentale della loro vita è indirizzata a
quelle opere, non vi si esaurisce: oltrechè la società stessa e lo
Stato li trattano come loro componenti e cittadini, li chiamano a
rendere servigi in pace e in guerra, e con ciò li eccitano a
partecipare in certa misura ai dibattiti e contrasti politici e a
dividersi nei vari partiti in azione, sia pure come gregari o addetti
a lavori ai quali sono più particolarmente adatti, a lavori di
"parole" e ad "opere d'inchiostro", come diceva
messer Ludovico, (il quale, del resto, dovè governare la
Garfagnana), cioè non mai di pseudo poesia e di pseudoscienza, che
sarebbero cose poco pulite, ma di legittima è sana pubblicistica
politica.
Ma
quella raccomandazione, assoluta, di impedire che la politica
contamini le opere dell'arte e della scienza, e quest'altra,
relativa, di restringere in modesti confini la propria partecipazione
all'azione politica, vogliono forse inculcare a quegli uomini
l'indifferenza per la politica, l'apoliticismo? e potrebbero essi, da
loro parte, accogliere questa ulteriore richiesta, e soddisfarla?
Affinché
si potesse soddisfarla, si dovrebbe poter escludere dal proprio
interessamento una forma della vita, la politica, distaccandola dalle
altre con le quali è organicamente connessa. Ma l'uomo intero
accoglie nel suo animo l'interessamento per tutte le forme della
vita, e per tutte batte il suo cuore; e il filosofo e lo storico le
indagano tutte nelle loro relazioni e nella loro viva dialettica, e
il poeta risente e ritrae la pienezza della vita.
Se
una di esse tagliassero fuori, se da una di esse si straniasse
l'animo loro, le altre tutte, per effetto di quella mutilazione,
intristirebbero ai loro occhi e si disseccherebbero nel loro cuore.
L'amore per un essere umano, l'affetto per la famiglia e per i figli,
e insieme sollecitudine per l'ambiente sociale e morale e politico,
nel quale quelle creature amate e noi stessi respiriamo.
E
quando anche accada che nel travaglio della passione si cerchi
vanamente di fuggire alcuna di quelle forme, e per stare nel caso
nostro, di aborrire dalla politica, questo stesso sforzo di ripulsa è
interessamento e non disinteressamento e fa presente quello che si
vorrebbe fuggire; come la negazione che il filosofo, errando, tenti
di taluna di esse, è nell'atto stesso una riaffermazione, e il poeta
che canta quella sospirata fuga dalla politica ne è ossesso, e al
pastore di Erminia, nel suo albergo solitario, tra le acque e i rami,
stanno pur sempre dinnanzi alla mente le "inique corti".
Non
ci sarebbe altro modo, dunque, di disinteressarsi della politica che
quello di disinteressarsi insieme di tutte le altre parti della vita;
e perciò non la semplice apolitia, ma la totale apatia. Senonchè
l'apatia totale è morte, e morte altresì della fantasia e del
pensiero, della poesia e della filosofia, le quali non in altro hanno
la loro materia che nelle passioni della vita, sole che muovono a
fantasticare, a definire le idee, a determinare la verità della
storia e finanche, seppure in modo meno immediato, a costruire
concetti delle scienze e gli schemi delle matematiche.
Le
passioni e il dolore: "Ahi, dal dolor comincia e nasce l'italo
canto", esclamava il Leopardi; e quel dolore che ispira pensieri
non meno che canti, non è il diretto tormento egoistico che
immeschinisce, ma l'affanno e il dolore per la società e per
l'umanità.
Vero
è che gli atti teorici di rappresentazione e di comprensione,
sommettono a se le passioni appunto perché le abbassano a materia;
ma metterle sotto di sé e mettervisi di sopra non è mettersene
fuori, ma anzi prenderle in sé, domate: non è un disinteressarsene,
ma un tanto interessarsene da averle ridotte in proprio possesso.
In
effetto, con quella esortazione e raccomandazione non si vuole già
inculcare l'apoliticismo, ma, come si dovrebbe dire esattamente, il
simpoliticismo, l'interessamento per la politica come per ogni altra
parte della vita umana, non per fare della politicante e cattiva
poesia, filosofia o storiografia, e neppure per compiere azioni di
politica pratica alle quali non si sia chiamati, ma unicamente per
convertire l'energia di quel sentimento in pura poesia, filosofia e
storiografia; il che non avrebbe effetto se non ci fosse
quell'energia di sentimento, se lo spirito del poeta, del filosofo e
dello storico fosse indifferente, che vuol dire vuoto.
La
riprova dell'esattezza di questa interpretazione è nel disprezzo in
cui la società stessa tiene gli scrittori effettivamente apolitici,
chiamandoli verseggiatori, meri letterati, stupidi esteti, frigidi
compilatori di notizie, pedanteschi filosofanti dai pallidi concetti
estenuati, e via per simili complimenti; e nel carattere che si suol
assegnare di decadenza alle età storiche, nelle quali siffatti
scrittori predominano e rari e quasi singolari eccezioni sono quelli
politici o "simpolitici", come fu nell'Italia della
Controriforma e del seicento.
Conclusione
di questo discorso che mi è parso opportuno fare.
Quando
uno scrittore che ha serietà di pensiero, un poeta che ha serietà
di sentimento, vi dichiara come spesso accade di udire dichiarare:
"Io sono affatto apolitico", bisogna rispondere: "Voi
non vi conoscete bene". E quando la medesima dichiarazione ve la
fa un poeta privo di sentimento e perciò di genuina fantasia, un
filosofo e uno storico privi di intimo pathos e perciò di
penetrazione nella realtà umana, uno sterile combinatore di forme e
di formole, bisogna rispondergli per contrario: "Voi vi
conoscete molto bene!"
Benedetto
Croce da “La religione della libertà”
Nessun commento:
Posta un commento