"Stai
composto!" "Saluta!" "Ringrazia!" "Chiedi
scusa! Solo i forti sanno farlo!" "Metti in ordine la tua
stanza. La sciatteria va combattuta, come i virus e gli zombie"
"I videogiochi rincitrulliscono" "Con il sole non puoi
metterti gli stivali da pioggia, anche se li ami" "Se
prendi un impegno deve rispettarlo" "Leggere è importante,
oltre che bellissimo" "No, non potete saltare la doccia"
"Bisogna mangiare frutta. Tutti i giorni. E le gelatine al
limone non valgono" "Non fare il furbo! Non sopporto i
furbi".
Io
sono un grillo parlante, con deprimenti derive autoritarie e
poliziesche. E pensare che io, quell'insetto petulante e saccente, lo
detesto. Lui si è impossessato di me nell'aprile del 2003, quando
sono diventata mamma la prima volta. Ha trovato asilo nella mia testa
e nella pancia e si è fatto largo, gaudente e protervo parassita.
Il
problema è che i figli bisogna educarli, arginarli, guidarli e
talvolta reprimerli. Fa parte dell'arduo, a volte, ingrato compito
dei genitori. Per diventare adulti per bene, i piccoli selvaggi hanno
bisogno di noi, affettuosi, accudenti e presenti, ma anche di noi
grilli parlanti, solerti, ossessivi e dirigisti.
Sarà
la storia della trave e della pagliuzza che un giorno ci raccontò la
maestra Irene, in prima elementare, lasciando un solco indelebile e
nefasto nella mia formazione. O forse l'ambizione di predicare e
razzolare nello stesso verso. Fatto sta che ultimamente io, adulta,
vaccinata e incidentalmente ma necessariamente saputella, mi domando
se e quanto sono coerente con ciò che mi ostino a predicare. E mi
chiedo dove cado, vittima delle mie contraddizioni, delle mie
incoerenze, delle mie debolezze e della mia sciatteria etica.
Iniziamo
con le virtù. Dico grazie, spesso e volentieri, con riconoscenza e
stupore. Perché sono convinta che la gratitudine sia un'arte in via
di estinzione, da coltivare con cura e consapevolezza. Evito accuratamente i videogiochi. Non perché li consideri diseducativi,
ma perché soffro di dipendenze e potrei entrare in un tunnel senza
fine. Mi lavo, con frequente entusiasmo, più per piacere personale
che per rigore igienico. Sono afflitta da un certo calvinismo
iperproduttivo e bacchettone, che fa di me un irrecuperabile e triste
workaholic ma che, se non altro, mi porta a rispettare gli impegni.
Leggo,
anche se meno di quanto vorrei, non indosso stivali da pioggia anche
se la tentazione è quotidianamente molto forte, mangio frutta e
persino verdura. E poi non fumo, non mi ubriaco, non mi drogo e non
ho neppure un toy boy. Veniamo ora ai vizi, quei buchi neri di
nequizia e incoerenza che, se mai confessati alla prole, manderebbero
in frantumi anni di onorata carriera di grillo parlante.
Sono
sciatta e disordinata. Se seguissi il mio cuore, abbandonerei il
pigiama sul pavimento la mattina, il letto sfatto e il dentifricio
aperto. Considero il piegare gli indumenti un'attività inutile e
frustrante e spesso appallottolo mutande, calze e persino pantaloni e
li lancio nell'armadio con enorme gusto.
Quando
nessuno mi vede, mi siedo a tavola tutta storta, a volte mangio con
le mani, e quando sono da sola, faccio un sacco di briciole sul
divano, guardando programmi trash, e proibiti ai miei figli, alla
televisione. Dico parolacce. Non troppe e non spesso ma con enorme e
liberatoria soddisfazione. Sono vittima delle lusinghe del
cioccolato, dello shopping compulsivo e voluttuario e del corso in
palestra di cardio pump, ma solo perché l'istruttore somiglia al
cantante cappellone degli One Direction. Detesto le telefonate di
cortesia e a Natale e a Pasqua non faccio gli auguri a nessuno.
Forse
dovrei calare la maschera ed essere onesta con quei tre maschi che si
illudono di aver una madre integerrima, seppur pedante. Ho pensato
che, per coerenza, potrei istituire il giorno della libertà, o dello
sbraco. In cui essere se stessi, senza pudore né freni. Ma ho
cambiato idea. Loro non sono pronti. E nemmeno io.
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