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domenica 1 maggio 2016

Orizzonte rosa. Le mie incoerenze di madre.

"Stai composto!" "Saluta!" "Ringrazia!" "Chiedi scusa! Solo i forti sanno farlo!" "Metti in ordine la tua stanza. La sciatteria va combattuta, come i virus e gli zombie" "I videogiochi rincitrulliscono" "Con il sole non puoi metterti gli stivali da pioggia, anche se li ami" "Se prendi un impegno deve rispettarlo" "Leggere è importante, oltre che bellissimo" "No, non potete saltare la doccia" "Bisogna mangiare frutta. Tutti i giorni. E le gelatine al limone non valgono" "Non fare il furbo! Non sopporto i furbi".
Io sono un grillo parlante, con deprimenti derive autoritarie e poliziesche. E pensare che io, quell'insetto petulante e saccente, lo detesto. Lui si è impossessato di me nell'aprile del 2003, quando sono diventata mamma la prima volta. Ha trovato asilo nella mia testa e nella pancia e si è fatto largo, gaudente e protervo parassita.
Il problema è che i figli bisogna educarli, arginarli, guidarli e talvolta reprimerli. Fa parte dell'arduo, a volte, ingrato compito dei genitori. Per diventare adulti per bene, i piccoli selvaggi hanno bisogno di noi, affettuosi, accudenti e presenti, ma anche di noi grilli parlanti, solerti, ossessivi e dirigisti.
Sarà la storia della trave e della pagliuzza che un giorno ci raccontò la maestra Irene, in prima elementare, lasciando un solco indelebile e nefasto nella mia formazione. O forse l'ambizione di predicare e razzolare nello stesso verso. Fatto sta che ultimamente io, adulta, vaccinata e incidentalmente ma necessariamente saputella, mi domando se e quanto sono coerente con ciò che mi ostino a predicare. E mi chiedo dove cado, vittima delle mie contraddizioni, delle mie incoerenze, delle mie debolezze e della mia sciatteria etica.
Iniziamo con le virtù. Dico grazie, spesso e volentieri, con riconoscenza e stupore. Perché sono convinta che la gratitudine sia un'arte in via di estinzione, da coltivare con cura e consapevolezza. Evito accuratamente i videogiochi. Non perché li consideri diseducativi, ma perché soffro di dipendenze e potrei entrare in un tunnel senza fine. Mi lavo, con frequente entusiasmo, più per piacere personale che per rigore igienico. Sono afflitta da un certo calvinismo iperproduttivo e bacchettone, che fa di me un irrecuperabile e triste workaholic ma che, se non altro, mi porta a rispettare gli impegni.
Leggo, anche se meno di quanto vorrei, non indosso stivali da pioggia anche se la tentazione è quotidianamente molto forte, mangio frutta e persino verdura. E poi non fumo, non mi ubriaco, non mi drogo e non ho neppure un toy boy. Veniamo ora ai vizi, quei buchi neri di nequizia e incoerenza che, se mai confessati alla prole, manderebbero in frantumi anni di onorata carriera di grillo parlante.
Sono sciatta e disordinata. Se seguissi il mio cuore, abbandonerei il pigiama sul pavimento la mattina, il letto sfatto e il dentifricio aperto. Considero il piegare gli indumenti un'attività inutile e frustrante e spesso appallottolo mutande, calze e persino pantaloni e li lancio nell'armadio con enorme gusto.
Quando nessuno mi vede, mi siedo a tavola tutta storta, a volte mangio con le mani, e quando sono da sola, faccio un sacco di briciole sul divano, guardando programmi trash, e proibiti ai miei figli, alla televisione. Dico parolacce. Non troppe e non spesso ma con enorme e liberatoria soddisfazione. Sono vittima delle lusinghe del cioccolato, dello shopping compulsivo e voluttuario e del corso in palestra di cardio pump, ma solo perché l'istruttore somiglia al cantante cappellone degli One Direction. Detesto le telefonate di cortesia e a Natale e a Pasqua non faccio gli auguri a nessuno.
Forse dovrei calare la maschera ed essere onesta con quei tre maschi che si illudono di aver una madre integerrima, seppur pedante. Ho pensato che, per coerenza, potrei istituire il giorno della libertà, o dello sbraco. In cui essere se stessi, senza pudore né freni. Ma ho cambiato idea. Loro non sono pronti. E nemmeno io.


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