Si
dice . . . “strani compagni di letto”
Questo
modo di dire viene usato per sottolineare il formarsi di strane, inedite o paradossali alleanze dovute all'imprevedibile
accadere dei
casi della vita. Il motto ha origine da un passo dell'opera
teatrale La
Tempesta,
scritta da William Shakespeare nel 1611, che recita: “La sventura
costringe l'uomo a fare la conoscenza di ben strani compagni di
letto”. La popolarità della frase è stata rilanciata dal grande
successo della commedia hollywoodiana che portava questo titolo,
uscita nel 1965, diretta da Melvin Frank e interpretata da Gina Lollobrigida e Rock Hudson.
Si
dice . . . “piantare grane”
L'espressione
“piantare (oppure procurare o far scoppiare) grane” significa
arrecare noie, seccature o anche più semplicemente sollevare
questioni fastidiose da risolvere. Alla base di questo diffuso modo
di dire starebbe un'insieme di due immagini diverse. La “grana”
va intesa come una particella di sabbia o altra sostanza granulosa,
cioè il classico corpuscolo che, infilato in un ingranaggio, lo fa
inceppare. Il verbo “piantare” deriva dal latino planta,
(inteso come pianta del piede), e si riferisce al gesto dei contadini
che stando chini sulle piante dei piedi conficcano le piantine nel
suolo. L'immagine evoca dunque un ostacolo che col tempo può
diventare più grande.
Si
dice . . . “ di punto in bianco”
La
locuzione si usa per indicare un'azione che si svolge senza
preparazione, all'improvviso, possibilmente generando un effetto
sorpresa, (“così di punto in bianco non saprei che fare”).
L'origine dell'espressione va cercata nel gergo militare e, in
particolare, in quello della balistica. Anticamente infatti si
definiva “tiro di punto in bianco” il tiro di artiglieria senza
elevazione, con la linea di mira in orizzontale, senza impostare
l'apparecchio di mira con alcun numero, ossia in bianco. Troviamo
questo modo di dire persino in un passo del Dialogo
sopra i due massimi sistemi
di Galileo Galilei. Va osservato che anche in francese esiste
un'analoga espressione, (de but en blanc, de pointe en blanc), in uso
in letteratura, ad esempio in un passo di A
la recherche du temps perdu
di Marcel Proust.
Si
dice . . . “essere amico del giaguaro”
Si
riferisce ad un sedicente amico la cui lealtà e fedeltà è dubbia o
tutta da dimostrare. L'espressione nasce da una vecchia barzelletta
che racconta di un uomo che descrive una presunta battuta di caccia
al giaguaro ad un amico, il quale però lo contraddice al tal punto
che l'uomo, esasperato, chiede all'altro se sia più amico suo o del
giaguaro. Nell'uso comune questa frase ironica è entrata grazie al
varietà-quiz tv “L'amico del giaguaro ”
condotto da Corrado con Gino Bramieri, Marisa Del Frate e Raffaele
Pisu trasmesso alla Rai dal 1961 al 1964. Il titolo faceva a sua
volta riferimento a un film del 1958 con Walter Chiari.
Si
dice . . . “essere un re Tentenna”
L'espressione
“essere un re Tentenna”, o anche un “sor Tentenna”, vuol dire
essere una persona sempre insicura ed esitante, dubbiosa e indecisa
nelle decisioni da prendere. L'epiteto ha origine negli anni del
Risorgimento. Fu Domenico Carbone,
scrittore e patriota piemontese, a definire così in uno scritto
satirico del 1847 Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, a causa
delle sue incertezze nel concedere le riforme richieste a gran voce
dai moti liberali del tempo. Lo scritto, diffuso clandestinamente,
divenne popolarissimo e costò l'arresto e in seguito l'esilio al suo
autore, ma pare abbia avuto un ruolo importante nell'indurre il
sovrano a concedere nel 1848 lo statuto detto poi Albertino,
costituzione anche dell'Italia unita fino al 1948.
Si
dice . . . “carità pelosa”
Fare
una “carità pelosa” indica fare elargizioni e concessioni in
apparenza caritatevoli, ma in realtà per proprio tornaconto.
Secondo lo scrittore dell'800 Guerrazzi, l'espressione risale ad un
aneddoto storico: il capo normanno Guglielmo il Bastardo, nel 1066
chiese l'appoggio di papa Alessandro II per conquistare il trono
d'Inghilterra, su cui era seduto il sassone Aroldo. Il pontefice
gli inviò lo stendardo di San Pietro da esibire in battaglia, nonché
alcuni peli della barba del santo. Guglielmo vinse la guerra e
ricompensò il pontefice con notevoli concessioni alla chiesa
oltremanica. Secondo altri storici, invece, la locuzione viene da
un'espressione assai popolare nell'Ottocento, anche in letteratura:
“Avere il pelo sul cuore”. Ossia essere insensibile.
Si
dice . . . “i giorni della merla”
Per
“giorni della merla” si intendono il 29, 30 e 31 gennaio che,
secondo antiche convinzioni, sarebbero i giorni più freddi
dell'anno. Non è ben chiara l'origine di questa locuzione. La
tradizione la attribuisce alla leggenda secondo la quale, per
ripararsi dal gelo, una merla e i suoi pulcini, al tempo della livrea
bianca, si rifugiarono in un comignolo per tutti i 3 giorni uscendone
tutti neri a causa della fuliggine. E tali rimasero. Ma nel '700
era diffusa la convinzione che la “merla” in questione, fosse un
grosso e pesante cannone che potè essere trasportato oltre un fiume
soltanto in quei giorni perché il corso d'acqua era gelato.
Inoltre, il fatto che nell'antico calendario romano gennaio avesse 29
giorni e che gli altri 2 siano stati aggiunti da Giulio Cesare, da a
questi giorni un valore speciale.
Si
dice . . . “essere male in arnese”
L'espressione
“essere male in arnese”, oggi poco usata, vuol dire essere messi
male sotto vari aspetti: trovarsi per esempio in cattive condizioni
economiche, di salute, psicologiche ecc. Ma in origine, con questo
modo di dire, ci si riferiva soltanto al modo di abbigliarsi, ossia
essere malvestiti, mal equipaggiati ecc. “Arnese” era infatti
un termine un tempo usato con il significato di indumento, veste,
abbigliamento. E ciò è ben testimoniato da un passo de “I
promessi sposi” di Alessandro Manzoni che descrive l'abbigliamento
di Renzo Tramaglino: <<... in
arnese da viaggio, con la sua cintura nascosta sotto il farsetto, e
il coltellaccio nel taschino de' calzoni ...>>
Si
dice . . . “andare a Patrasso”
La
locuzione “andare a Patrasso”, un tempo molto usata, vuol dire
finire male, fallire, andare in rovina. Ma la città greca citata
nell'espressione non c'entra niente. In realtà la frase deriva
dallo stravolgimento popolare della traduzione latina di una frase
della Bibbia, “ire ad patres”, ossia “andare a raggiungere gli
antenati”, insomma morire. Ma perché questa deformazione è
finita su Patrasso? Per la popolarità che questa città, oggi la
terza per popolazione della Grecia, ha avuto dalle nostre parti. Fu
infatti colonia veneziana dal 1408 al 1458, quando venne presa dai
turchi. Dopo numerosi tentativi di riconquista compiuti da
veneziani e genovesi, Patrasso fu poi ripresa dalla Serenissima nel
1687 e mantenuta fino al 1715.
Si
dice . . . “organizzare una tavola rotonda”
“Organizzare
(o tenere) una tavola rotonda” significa indire una riunione o una
conferenza su un preciso tema, alla quale prendono parte esperti
chiamati a confrontare opinioni diverse e in cui a nessuno dei
partecipanti è riservata una posizione di privilegio. L'origine di
questa immagine va ricercata nella tradizione della Tavola Rotonda,
(Table Ronde), istituzione fondata da Re Artù, leggendario monarca
dei Bretoni di cui si narra nei poemi cavallereschi francesi, a
partire dalla metà del XII secolo. Nella mitica reggia di Camelot,
i nobili cavalieri di Artù si disponevano intorno a una grande
tavola di forma rotonda, simbolo di assoluta uguaglianza e di impegno
per ciascun partecipante ad eccellere in ogni impresa d'arme.
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