Si
dice . . . “ essere il nemico pubblico n. 1 “
Indica
qualcuno estremamente pericoloso per la società e, per estensione,
designa chi sia considerato da temere da un gruppo, un'istituzione,
una squadra avversaria ecc. La definizione viene dagli USA e venne
usata per la prima volta per John Dillinger, (1903-1934), criminale
che iniziò la carriera di rapinatore a soli 21 anni proseguendo
imperterrito, tra arresti ed evasioni, la sua attività di fuorilegge
per 10 anni e costringendo l'FBI a dichiararlo “nemico pubblico
n.1”, prima di riuscire ad ucciderlo a Chicago nel 1934.
Si
dice . . . “ fare vita da Nababbo “
Significa
vivere in modo sontuoso, circondarsi del lusso più sfrenato. Il
termine Nababbo proviene dall'indoeuropeo
nawab
che designava inizialmente il governatore o il vicerè delle
provincie indiane dell'Impero Moghul,
monarchia di provenienza persiana che governò l'India dal XVI secolo
fino all'avvento degli inglesi nel XIX secolo. Il titolo di Nababbo
venne in seguito esteso ai principi e ai nobili dell'India islamica,
(con funzioni anche religiose), le cui ricchezze favolose divennero
proverbiali.
Si
dice . . . “ andare a ramengo “
Significa
andare in rovina, in bancarotta. Il termine originale, ramingo, era
riferito all'uccellino che, uscito dal nido, salta di ramo in ramo
senza volare e per estensione a chi vagasse da solo senza meta. Ma
nell'alto Medioevo, ad Asti, prese il nome maccheronico di Aramengo,
probabilmente in quanto luogo designato a chi venisse allontanato
dalla comunità. E la frase “andare a
Aramengo”,
poi mutata in “a ramengo”, divenne presto popolare.
Si
dice . . . “ andare in visibilio “
Vuol
dire andare in estasi, essere al culmine della felicità,
dell'entusiasmo. L'origine di questo modo di dire va ricercato
nella versione del Credo
in latino elaborato dal Concilio
di Nicea
e più precisamente dall'interpretazione popolare del verso “Credo
(…) factorem
(…) visibilium
omnium et invisibilium”,
(Credo nel creatore di tutte le cose visibili e invisibili). Nella
tradizione orale, (nei primi secoli del cristianesimo questi versi
non si scrivevano), invisibilium
divenne in
visibilium
e il significato si trasformò da “cose invisibili” a “cose
indescrivibili, straordinarie, meravigliose”, cioè percepibili
attraverso le emozioni.
Si
dice . . . “ sentirsi sulle montagne russe “
Vuol
dire avere alti e bassi di umore, salute o fortuna. Il detto si
ispira alle “montagne russe” od “ottovolante”,
l'installazione da luna park il cui trenino percorre a gran velocità
salite e discese mozzafiato. La definizione nasce dal fatto che
grandi scivoli ghiacciati in legno da percorrere con una slitta si
trovavano in Russia nel XVI secolo. Nel 1762 nella reggia di
Oranienbaum, vicino San Pietroburgo, fu costruito dall'architetto
italiano Rinaldi il padiglione di Katalnaya
Gorka,
esempio di montagne russe poi imitate in Francia nell'800.
Si
dice . . . “ attaccare briga “
L'espressione
“attaccare
briga”
, da cui essere un attacca brighe, vuol dire cercare a bella posta un
conflitto, un contrasto, una lite. L'origine del termine va cercata
in una parola celtica che ha il significato di fortezza, forza, (vedi
Briga
in Svizzera), e che per estensione è passata a significare assedio,
scontro, litigio, molestia, fastidio, cruccio ecc. Di qui la frase
“prendersi
una briga”,
(preoccuparsi, adoperarsi per qualcosa), ma anche una serie di
termini, (brigante, brigata, brigantino), che si ispirano al concetto
dello stare in armi insieme con o contro la legge. Anche il nome
del Brighella,
servo insolente e litigioso della Commedia
dell'Arte,
ha la stessa origine.
Si
dice . . . “ dormire sugli allori “
Vuol
dire vivere di rendita, impigrirsi sui successi ottenuti nel passato
senza far niente per ottenerne degli altri. Gli allori si
riferiscono alle corone d'alloro, (laurus
nobilis)
– pianta sacra ad Apollo nella mitologia greco-romana,
rappresentava la ninfa Dafne amata dal Dio) – usate per cingere il
capo ai vincitori dei
giochi pitici.
Questi giochi, che a partire dal VII secolo a.C. si alternavano ai
giochi olimpici, si tenevano al santuario di Apollo a Delfi e
prevedevano competizioni sportive, gare musicali e di poesia. Le
corone d'alloro erano segno di gloria perpetua.
Si
dice . . . “ essere cinici “
L'espressione
“essere cinici” o anche “essere dotato di cinismo” indica chi
mostra disprezzo o insensibilità per ogni valore e sentimento umano
e agisce con freddezza e calcolo. Il termine “cinismo” si
riferisce a una scuola filosofica dell'antica Grecia fondata nel IV
secolo a.C. da Antistene
e Diogene
di Sinope, (detto “il cane”), ad Atene. I cinici, piuttosto
disprezzati dalle scuole rivali, erano per una vita assai spartana,
priva di agi e comodità e indifferente a passioni e cupidigie
terrene, tutta rivolta alla ricerca della “virtù” intesa come
felicità interiore da ricercare individualmente. Il loro disprezzo
per le regole sociali e la corruzione dei costumi, appiccicò ai
cinici un'etichetta in parte sbagliata.
Si
dice . . . “ allevare una serpe in seno “
Vuol
dire fare del bene a chi si rivela poi ostile e pericoloso.
L'espressione origina da una favola dello scrittore
Esopo,
(IV secolo a.C.), poi ripresa da Fedro
e da La
Fontaine.
“Un vecchio contadino”, racconta la favola, “durante
l'inverno, avendo trovato una serpe intirizzita dal freddo e avendone
avuto compassione, la prese e se la mise in seno. Quella poi,
riscaldandosi e riprendendo la sua natura, ferì il benefattore e lo
uccise. Lui morendo disse : “Ho ciò che merito, avendo avuto
compassione di quella malvagia”.
Si
dice . . . “ essere in buona fede “
Vuol
dire essere sinceramente convinti di agire in maniera corretta,
rispettando le regole. Il concetto di buona fede, (dal latino bona
fides),
deriva dal diritto romano. Per i giudici dell'antica Roma era
ritenuto fondamentale il comportamento leale ed onesto del cittadino
nell'esecuzione degli impegni e degli obblighi assunti : perciò la
buona fede costituiva un parametro per valutare la correttezza o meno
di un comportamento. Si distingueva, (e la distinzione è valida
anche nel diritto attuale), la buona fede soggettiva, ossia il non
sapere di ledere il diritto altrui, e la buona fede oggettiva, cioè
il generale dovere di correttezza e lealtà di condotta nei rapporti
fra soggetti.
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