L'ingorgo
è così aggrovigliato che non ci si passa neanche in motorino. Sulla
destra c'è una Panda con un vecchio infagottato. A sinistra una
Porsche bianca. Il tizio al volante e l'idea platonica dell'evasore
fiscale. Davanti, proprio in mezzo alla carreggiata, sta un carro
funebre. Allungo lo sguardo: dentro c'è il morto. È in una bara di
legno chiaro corta come una scatola da scarpe - quando muoiono gli
esseri umani rimpiccioliscono sempre - con una corona di fiori
discreti, quasi incolori, posata sul cofano.
Osservo
la Panda, la Porsche, una Passat più in là. Dentro l'ingorgo si sta
svolgendo un funerale invisibile. Cerco nelle auto facce tristi,
segni di lutto, invece in ogni abitacolo la vita pare procedere
imperturbata. Come se niente fosse.
Ieri
mattina sul mio portone c'era una coccarda rotonda. Mi sono
avvicinato per leggere il nome. Non l'avevo mai sentito. Non sapevo
che quella signora defunta potesse essere stata viva. La sagoma di
una donna malandata della scala B mi transitava correndo nel
cervello, ma era leggera e incerta. Ieri sera, al rientro, la
coccarda non c'era più. Era stata sostituita da una cartolina.
Diceva: "La famiglia, commossa per la manifestazione d'affetto
tributato, ringrazia". Ma nell'androne l'album per le
condoglianze non c'era. Era stato un evento clandestino come questo
corteo funebre sepolto nel traffico.
Quando
ero piccolo i morti non avevano vergogna. Si esibivano ed erano
esibiti. Se qualcuno moriva gli androni delle case venivano rivestiti
di anacronistici drappi di velluto nero e viola che sembrava di
vivere in Spagna o in Sicilia. Qualsiasi condominio, anche il più
anonimo, si trasformava in una cattedrale. Appariva un tavolino con
una tovaglia lunga fino a terra e sopra c'era un album grande, aperto
e bianco su cui lasciare una firma, una frase, un saluto.
Quando
ero piccolo gli ingorghi non si formavano intorno, ma perché e
quando passava un funerale. Le auto si bloccavano, qualcuno si
toccava di nascosto, il corteo sfilava a piedi dietro il carro
funebre. Tutto rallentava. La morte cambiava le cose. Anche i
vestiti. Prevaleva il nero. Il carro funebre qui nell'ingorgo,
invece, è grigio metallizzato. Forse è stato rimodernato. Sul sito
Autofunebricars si vendono kit con muso, fari e specchietti per trasformare "con
una spesa moderata, il vostro vecchio autofunebre Mercedes W 210,
nella più recente versione 212, e soddisfare le esigenze di
modernità dei vostri clienti".
Qui
nell'ingorgo non si capisce se c'è qualcuno che piange. Un tempo il
lutto poteva essere grave, mezzo o leggero, ma si doveva vedere. La
gerarchia era inflessibile. Genitori,
figli, suoceri, nuore e generi valevano sei mesi di lutto grave e sei
di mezzo lutto; marito e moglie 18 mesi, (12 grave, 4 mezzo e 2
leggero); ultimi, con soli 3 mesi di lutto, venivano cugini carnali e
nipoti.
Esistevano
abiti da lutto completi e obbligatori. Poi incominciarono a bastare
il bottone nero è la fascia al braccio. Poi più nulla. Oggi ai
funerali ci si veste in modo normale. L'atteggiamento è ribaltato.
Una volta il lutto bisognava mostrarlo, oggi nasconderlo. Le corone
di fiori, le Mercedes rimodernate, le coccarde sui portoni sono orme
del passato. I simboli della morte sbiadiscono. È sufficiente
ritrovarsi e stare insieme.
L'ingorgo
si scioglie, qualcosa si muove. Getto un'ultima occhiata dentro le
automobili. Cerco un segno che distingua chi va al lavoro da chi
segue il funerale. Mi accorgo che alcune automobili hanno più di un
passeggero.
Giacomo
Papi
Nessun commento:
Posta un commento