AZNALUBMA
è assurdo, ma un po' lo capisco: qualche scimunito completo in giro
c'è sempre. La sequenza sarebbe: avvisti nello specchietto un
veicolo bianco con la sirena urlante, una croce e una scritta, e ti
chiedi: "che cosa sarà mai ?"
A
quel punto leggi, e capisci: "Toh, guarda! È un'ambulanza!…
Un' aznalubma!" C'è gente che schiatta se non legge le
istruzioni su come respirare, scrivere al contrario perché nel
riflesso la scritta appaia diritta mi pare perdonabile, benché
eccessivo. Quello che, invece, mi manda ai pazzi e leggere
sull'asfalto dell'autostrada "Servizio di Area" invece che
"Area di Servizio". Ad alta velocità si fa in tempo a
leggere solo dal basso verso l'alto. Invece io so leggere in un unico
modo, dall'alto in basso, e servizio di area mi fa pensare a
un'espressione gergale del tennis. E poi, nessuno sfreccia a 800 km
all'ora, non siamo Beep Beep e Willy Coyote, nessuno si muove così
in fretta da trasformare il paesaggio in una poltiglia visiva
indistinta come nei cartoni animati. E allora perché? I cartoni
animati centrano qualcosa?
Il
primo autogrill italiano non si chiamava autogrill, il marchio arrivò
solo nel 1977. Spuntò sulla Milano-Torino nel 1947, a Veveri, nei
pressi del casello di Novara. L'industriale dolciario Mario Pavesi
aveva pensato di costruire sull'autostrada un punto vendita per i
suoi biscotti. L'architetto era Angelo Bianchetti. Il successo fu
immediato. Motta
e Alemagna
lo imitarono con gli architetti Melchiorre Bega e Angelo Casati, e
presto arrivarono gli autogrill a ponte, sospesi come serpenti
volanti su entrambe le corsie di marcia. Per gli automobilisti degli
anni 50 e 60 rappresentarono il nuovo, anche se il modello era
antichissimo: le osterie con le stazioni di posta e il cambio dei
cavalli, i bordelli sulle vie dei pellegrini e le oasi nel deserto.
Ma il modello - sosta e consumo, parcheggio e carrello -
preannunciava anche noi.
Preparava
i supermarket e i centri commerciali di oggi. A essere nuova era
l'estetica, perché nuova era l'ideologia che l'aveva partorita.
La
scelta doveva essere sempre strabordante e la merce universalmente
accessibile, voluttuosa proprio perché voluttuaria, una sfilata di
transistor, spumanti, pupazzi, cioccolati e salami. Era un mondo
pragmatico dove si correva veloce e si consumava correndo.
Racconta
un signore che nel 1960 aveva 10 anni: "La domenica con la mia
famiglia andavamo in gita all'autogrill Pavesi di Lainate per
mangiare il panino Quick,
veloce, che era poi l' hamburger di McDonald's". La storia
scivolava sotto le gomme come un nastro d'asfalto, e bisognava
sbrigarsi, perfino a mangiare - glup ! - come nei cartoni animati.
L'idea di ribaltare la scritta - Servizio di Area - forse venne
allora, in un'epoca che si concepiva veloce come un cartoon
americano, ma che era ancora popolata di persone poco alfabetizzate
che leggevano con lentezza. Era una ingenuità ottimista ma triste,
un po' da fumetto, che provoca un po' di nostalgia.
Dopo
decenni di elogi della lentezza, citazioni di Pasolini e presidi Slow
Food - di nostalgia per l'Italia povera contadina, insomma - oggi che
stiamo diventando poveri davvero si inizia provare rimpianto per
quando eravamo ricchi e fiduciosi.
"In
quinta elementare, come regalo di promozione", continua il
signore che nel 1960 aveva 10 anni, "mio papà promise di
portarmi a mangiare il Quick
in autogrill. Non ce la fece mai. Ho aspettato quel momento per tutta
la vita. È stata la delusione più grande della mia infanzia".
È
la trama esatta di "Gita
al faro"
di Virginia
Woolf,
trasportata all'epoca del boom. "La nostalgia è tempo che si è
fermato", scrisse Junichiro
Kawasaki,
poeta, all'amico Gafyn
Llawgoch,
anarchico, "è il seme ha nostalgia del cielo, mai della terra".
Giacomo
Papi
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