In
Gambia, per le elezioni politiche, si vota con un sistema basato su
pentole e biglie. In Australia, invece, presentarsi ai seggi
elettorali è obbligatorio per legge. Mentre il Bel Paese è in pieno
fermento elettorale, facciamo il punto della situazione su alcune
delle curiosità riguardo alle elezioni politiche nel mondo.
Il
prossimo marzo il popolo italiano è nuovamente chiamato alle urne
per votare la XVIII legislatura, che, nel migliore dei casi,
governerà il paese per il prossimo quinquennio. Le scommesse su
quest'ultimo punto rimangono ampiamente aperte, visti i turbolenti
trascorsi politici degli ultimi anni. Se ultimamente la politica
italiana è stata caratterizzata da instabilità, non resta quindi
che aspettare le prossime elezioni e sperare in un risultato che
porti più certezze. Nell'attesa vi voglio intrattenere andando alla
scoperta delle peculiarità, o a piacimento delle imperfezioni, delle
elezioni politiche nelle altre nazioni in giro per il mondo.
Per
la serie chi va piano va sano e va lontano, le elezioni politiche in
India durano normalmente più settimane. Con un pubblico di oltre
ottocento milioni di persone aventi diritto al voto, il paese sembra
rappresentare la più grande democrazia esistente a livello mondiale.
L'ampio pubblico elettorale richiede grandi sforzi organizzativi,
nonché ingenti costi, con le elezioni che si svolgono per diverse
settimane se non addirittura mesi.
Nell'ultima
tornata elettorale del 2014, ad esempio, che ha eletto 543 membri del
Parlamento, le elezioni hanno avuto luogo in nove giorni diversi
nell'arco di oltre cinque settimane, ottenendo il primato come le più
lunghe elezioni nella storia della nazione, e del mondo aggiungo io.
Votare
già a 16 anni è possibile in alcuni paesi tra cui Brasile, Austria,
Nicaragua e Argentina, mentre la soglia dei 17 anni è fissata per
Indonesia e Sudan. Similmente, alcuni Stati della Germania,
permettono a chi ha più di 16 anni di votare per le elezioni locali,
mentre in Scozia la votazione per i più giovani, ovvero sedicenni e
diciassettenni, è stata ammessa per la prima volta per il referendum
sull'indipendenza del 2014.
Inoltre,
tra i must della maggior parte delle nazioni al mondo, il voto nel
weekend è di norma preferito alle votazioni nei giorni settimanali,
con la domenica eletta come giorno per eccellenza. Tuttavia, in
alcuni paesi di lingua anglofona, la regola trova la sua eccezione.
Ecco
quindi che in Canada si vota solitamente di lunedì, in Inghilterra
di giovedì, mentre in America, per tradizione, il giorno delle
votazioni cade di martedì.
Un
meccanismo di voto obbligatorio esiste in alcune nazioni, tra le
quali Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Grecia e Lussemburgo. In
questi paesi, con piccole differenze locali, registrarsi e
presentarsi al voto è obbligatorio per i cittadini di almeno 18
anni. In caso di assenza al voto, ogni paese stabilisce sanzioni
diverse, tra cui anche azioni penali e multe.
Inoltre,
in alcuni casi, i cittadini che non si presentano ai seggi in più
elezioni possono perdere il diritto di voto per un determinato
periodo di tempo, o incontrare difficoltà nell'ottenere un impiego
pubblico.
Nei
paesi a basso tasso di alfabetizzazione, i legislatori devono trovare
soluzioni alternative per permettere ai cittadini di esprimere il
proprio voto. In Gambia, ad esempio, fin dal 1965 gli elettori non
votano con una normale scheda elettorale, bensì con una biglia.
Questa dev'essere fatta cadere in una delle pentole colorate che sono
preparate nei seggi e associate alle foto dei candidati alle
elezioni. Non appena la biglia cade nella pentola del candidato
prescelto, un meccanismo fa suonare il campanello di una bicicletta a
indicare che il voto è stato eseguito correttamente e senza brogli.
Infine,
partecipare al voto sembrerebbe sempre di più un optional a livello
globale.
Secondo
l'Institute for Democracy & Electoral Assistance (IDEA),
nonostante il numero degli aventi diritto al voto sia aumentato nel
tempo, l'affluenza alle urne è in continua diminuzione.
Se
la partecipazione popolare mondiale superava in media di poco il 75%
negli anni 50', nel periodo 2011-15 lo stesso dato ha raggiunto solo
il 66%. Il declino maggiore sembrerebbe essersi registrato proprio in
Europa, con un calo pari al 20% dai soli anni 80'.
In
controtendenza, per una volta in positivo, la performance italiana
alle elezioni del 2013, con un'affluenza pari al 75%, che non ha
fatto sfigurare il Bel Paese. L'appuntamento è ora a domenica 4
marzo: riuscirà la penisola a mantenere tale risultato?
Già
nel 2020 potremo guidare un'auto volante. Facciamo un viaggio nel
tempo alla scoperta di alcune piccole grandi innovazioni tecnologiche
del vicino e più lontano futuro.
Multilinguismo
digitale
Nel
vicino futuro parlare e comprendere
una lingua straniera, non sarà più un problema. Recentemente Google
ha lanciato il primo paio di auricolari, in grado di tradurre ben 40
lingue straniere in tempo reale. Nella demo dell'evento lancio, che
ha avuto luogo lo scorso ottobre 2017, gli auricolari hanno permesso
una conversazione fluente tra una persona inglese e una svedese. Il
prodotto, chiamato Pixel Buds,
funziona in combinazione con Google Traslator e offre anche le
normali funzionalità proprie dei più tradizionali auricolari.
Mai
più senza
Mai
più senza portafogli, chiavi o occhiali: un gruppo di studenti del
Colorado ha messo a punto un semplice strumento che, in forma di
quella che può sembrare una piccola chiavetta USB, permette
all'utilizzatore di evitare inutili dimenticanze. Lo strumento,
precedentemente connesso al proprio cellulare, potrà essere
applicato a qualsiasi oggetto a piacimento che non si vorrà essere
scordato. Nel momento in cui l'oggetto non verrà più tracciato dal
Bluetooth del proprio smartphone, questo invierà una notifica al
proprietario avvertendolo dell'oggetto appena dimenticato e
informandolo sull'ultimo posto in cui questo è stato registrato a
sistema. L'utile gadget, chiamato Mu Tag,
potrebbe essere disponibile già all'inizio del prossimo anno.
Robot
stellati
Il
processo di digitalizzazione domestica avanza. L'anno prossimo
arriverà la prima cucina robotica al mondo. Moley,
così il nome del prodotto, è formata da una coppia di bracci
robotici che fuoriescono dai pensili di una cucina tradizionale.
Grazie ai comandi ricevuti dal cellulare o da uno schermo touchscreen
posto nella cucina stessa, il robot sarà in grado di lavorare in
modo autonomo utilizzando il piano cottura, il forno e i normali
piani di lavoro. Con la stessa abilità di un umano, i bracci
meccanici cucineranno il piatto prescelto e puliranno la cucina una
volta finita la preparazione. Bando quindi a prestigiosi ristoranti,
i piatti stellati verranno serviti direttamente a casa.
Wi-Fi
globale
Comincia
il countdown anche per chi fosse alla continua ricerca di hotspot
gratuiti in giro per il mondo. Elon Musk, fondatore dell'impresa aerospaziale
SpaceX, sta infatti pianificando il lancio di
4425
satelliti nello spazio, per rendere accessibile Internet ad alta
velocità in ogni luogo della terra. I primi test con il lancio dei
primi satelliti sono in programma a partire dal 2018. Se i risultati
dovessero essere positivi, il nuovo sistema satellitare potrebbe già
funzionare nel 2019.
Sogno
o realtà
Spetta
all'Institute for the Future, (IFTF), un'organizzazione californiana
che raggruppa esperti di futurologia, il premio per la
previsione dei
più stravaganti prodotti che potrebbero essere disponibili in un
lontano futuro. Tra i più originali, Mind Meld,
ovvero una coppia di pillole che permette la telepatia tra due
persone. Secondo le istruzioni indicate, l'assunzione di una pillola
a persona garantirebbe al 100% la connessione telepatica. Precauzioni
prima dell'uso: non indicate per chi non vuole condividere con gli
altri i propri pensieri. Altrettanto interessante la promessa di
Intention Viewer,
un paio di occhiali speciali in grado di leggere le intenzioni delle
persone osservate. Basterà guardare una persona con le speciali
lenti di questo prodotto, per identificare ed eventualmente
registrare in memoria, le intenzioni del soggetto scrutato. Infine,
da non perdere anche il Microbial
Mood Ring,
un anello che permette di evitare rischiose malattie. Secondo i
creatori, il "gioiello" cambierà infatti colore, non
appena la pelle di chi lo indosserà entrerà in contatto con batteri
e virus che potrebbero rivelarsi dannosi per la sua salute. Per chi
fosse interessato a saperne di più, altri prodotti del futuro sono
visibili sul sito del mercato "Future Now Mini Mart"
(http://minimart.iftf.org)
Viaggiare
sul cielo
La
macchina volante che ha fatto sognare i telespettatori del famoso
film "Ritorno al futuro" a metà degli anni 80, potrebbe
approdare sui mercati già entro il prossimo triennio. Toyota ha
confermato proprio quest'anno 2017, un investimento per sviluppare un
primo prototipo. Il veicolo, soprannominato Skydrive,
sarà lungo 2,9 metri, largo 1,3 metri e avrà un'altezza di poco
superiore al metro. Misure super compatte che permetteranno ai
fortunati guidatori, di elevarsi a 10 metri dal suolo e di
raggiungere una velocità in volo pari a circa 100 km all'ora. I
primi test dovrebbero realizzarsi nel 2018, mentre i creatori
ipotizzano la vendita sul mercato nel 2020. La macchina potrebbe
addirittura essere usata per accendere la fiamma dei Giochi Olimpici
di Tokio dello stesso anno.
Secondo
uno studio dell'Università di Stanford, circa 139 paesi nel mondo
potrebbero soddisfare i propri fabbisogni energetici con le sole
energie rinnovabili già entro il 2050. Ve lo spieghiamo in 12 punti.
1547
Megawatt la capacità potenziale massima che potrebbe raggiungere il
più grande impianto fotovoltaico progettato al mondo e situato a
Zhongwei, in Cina. Il paese ospita anche l'impianto solare più
"tenero" al mondo, ovvero una struttura a forma di panda
gigante, con una capacità totale installata pari a 50 Megawatt.
60%
la riduzione dei costi di produzione che è stata annoverata per
l'energia eolica e solare dal 2009 al 2017. Secondo alcuni studi, i
costi potrebbero beneficiare di un ulteriore diminuzione del 40% nei
prossimi
10 anni. Così, queste energie, sarebbero in grado di
autosostenersi nei mercati senza l'ausilio di sussidi statali.
50%
la crescita globale che è stata registrata dall'energia solare nel
2016 rispetto all'anno precedente. Ad oggi le fonti fotovoltaiche
possono contare su una capacità mondiale pari a 305 Gigawatt. I più
grandi investimenti nel settore derivano soprattutto da Cina e Stati
Uniti.
#1400.
Una turbina eolica dotata di 2,5 Megawatt di capacità, può generare
un ammontare di elettricità in grado di soddisfare i bisogni annuali
di circa 1400 abitazioni. La stessa energia potrebbe permettere di
bollire circa 230 milioni di tazze di tè o di alimentare un computer
per circa 2000 anni.
2/3
la frazione della capacità globale netta di energia che, secondo
l'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), è stata costituita da
fonti rinnovabili nel 2016.
70,2%
la crescita della produzione di energia rinnovabile che è stata
registrata nei paesi EU-28 tra il 2005 e il 2015.
1
ora. Secondo il National Geographic un'ora di luce solare sulla
terra, immagazzinata in tutto il suo potenziale, produrrebbe una
quantità di energia sufficiente a rispondere alla domanda energetica
globale per un anno intero.
5512
Terawatt/ora l'energia totale che è stata prodotta da fonti
rinnovabili nel 2015 nel mondo. Di questa il 70% è risultata in
energia
idroelettrica, il 15% in energia eolica, l'8% in bioenergia,
il 5% in energia solare. Il restante 2% è derivato da fonti
geotermiche e marine.
16,7%
del consumo totale di energia nei paesi EU-28 per il 2015 è derivato
da fonti di energia rinnovabili. Islanda e Norvegia sono risultate le
nazioni più "green", con un impiego di energie pulite pari
rispettivamente al 70,2% e al 69,4% dei consumi energetici totali.
L'Italia si posiziona sopra la media europea con una percentuale pari
al 17,5%. In coda alla classifica Lussemburgo e Malta, ferme solo al
5%.
17
miliardi di dollari l'ammontare di investimenti pubblici che, secondo
l'Agenzia Internazionale per l'Energia Rinnovabile (IRENA), sono
stati globalmente destinati allo sviluppo delle energie pulite nel
corso del 2016.
26.000
i posti di lavoro che l'energia marina, ovvero racchiusa nei mari e
negli oceani, potrebbe creare in Europa entro il 2020. Per il 2050, i
posti di lavoro stimati potrebbero essere 314.000.
341.320
il numero di turbine eoliche attivate nel mondo a fine 2016. Per lo
stesso anno l'energia eolica ha permesso di evitare oltre 637 milioni
di tonnellate di emissioni di CO2 a livello globale.
L'espressione
popolare “avere la fregola”, (di fare qualcosa), si riferisce a
chi sia posseduto dalla frenesia, dall'impulso irresistibile di
realizzare un desiderio, per esempio scrivere versi, risolvere un
enigma ecc. Il significato originale del termine fregola è
sinonimo di estro, calore: indica cioè l'eccitazione sessuale degli
animali nella stagione degli amori. Il tutto deriva dal verbo
fregare, ed è ispirato ai movimenti frenetici di diverse specie di
pesci, che si sfregano ai sassi sul letto dei corsi d'acqua al tempo
di deporre le uova. E si ritiene che la fregola, intesa come tipo
di pasta di semola fatta a palline irregolari che si produce da
secoli in Sardegna, abbia questo nome proprio perché ricorda le uova
di pesce.
Si
dice . . . “fare melina”
L'espressione
“fare melina” è propria del linguaggio sportivo, (calcio,
basket), e vuol dire trattenere e passarsi la palla per perdere tempo
e mantenere il vantaggio acquisito. Il modo di dire è poi entrato
nel linguaggio comune, per criticare indugi e decisioni atte solo a
guadagnare tempo. L'origine della locuzione viene dal dialetto
bolognese: al
zug dla mleina,
(il gioco della melina), è lo scherzo di sottrarre un oggetto o un
indumento a un malcapitato e passarselo sopra la testa. Negli anni
30 l'espressione fu in uso nella pallacanestro bolognese; allora non
c'erano limiti di tempo per portare a termine un'azione e la palla
era chiamata “mela”. Fu poi il giornalista Gianni Brera a
rendere popolare la locuzione, citandola nelle cronache di calcio.
Si
dice . . . “essere un tipo bislacco”
L'aggettivo
“bislacco” riferito a una persona o a una situazione significa
strambo, stravagante, ma con una connotazione negativa. Per
esempio: “Quella è proprio un'idea bislacca”, “Che gusti
bislacchi”. L'origine del vocabolo, assai adoperato nel nord-est,
è incerta. Viene forse dal veneto bislaco,
epiteto che si dava ai friulani e agli slavi dell'Istria e che
deriverebbe dallo sloveno bezjak,
(profugo, esule, ma anche stupido). Interessante è il fatto che
questo vocabolo sloveno, potrebbe essere alla base del termine
“bisiacco”,
che si riferisce agli abitanti del sud della provincia di Gorizia, in
un territorio delimitato dai fiumi Isonzo e Timavo. I bisiachi, col
loro dialetto caratteristico, sarebbero stati disprezzati in quanto
incapaci di esprimersi in un italiano corretto.
Si
dice . . . “cupio dissolvi”
Il
motto latino “cupio dissolvi”, (desiderio di essere dissolto),
viene usato per riferirsi ad un atteggiamento masochistico,
autodistruttivo rifiuto dell'esistenza. Il detto è tratto da
Tertulliano, (155-230 d.C.), scrittore cristiano di epoca romana che
a propria volta cita S. Paolo, il quale nella prima “Lettera ai
Filippesi”scrive:
“Desiderium
habens dissolvi et cum Christo esse”,
esprimendo il desiderio di sciogliere la propria anima dal corpo,
(ossia morire), ed essere con Cristo. Col tempo però, il senso
originario delle due parole si è trasformato a indicare un desiderio
di annientamento mistico e il motto è divenuto simbolo di
aspirazione ad una vita ascetica, a una rinuncia volontaria della
propria personalità, assumendo così quel tratto autolesionistico di
cui si è detto sopra.
Si
dice . . . “è una Caporetto”
L'espressione
indica una sconfitta clamorosa, una disfatta senza appello. E'
un'immagine rimasta viva nella nostra lingua, a 100 anni dalla
battaglia combattuta nel corso della grande guerra dal 24/10 al 12/11
del 1917 e che porta il nome di un paese sul fiume Isonzo, oggi in
territorio sloveno. Fu un tale disastro per l'esercito italiano,
travolto dalle truppe austroungariche e tedesche, che il comandante
in capo Luigi Cadorna venne sostituito da Armando Diaz e il nostro
fronte dovette arretrare fino al fiume Piave, da cui successivamente
partì la riscossa decisiva. Secondo le relazioni dell'epoca,
morirono 13mila soldati italiani, 30mila furono feriti e quasi
300mila presi prigionieri con 350mila sbandati. In tutto le forze
armate italiane persero 700mila effettivi in seguito alla battaglia.
Si
dice . . . “essere il quinto elemento”
L'espressione
indica persone o cose indispensabili alla vita di un individuo o al
funzionamento della società o di un sistema. L'origine del modo di
dire si trova nella filosofia dell'antica Grecia. In particolare
Empedocle di Akragas (Agrigento), filosofo del V secolo a.C.,
riteneva che gli elementi, ossia i principi da cui derivano tutte le
cose, fossero 4: fuoco, aria, terra e acqua. La fisica di quel
tempo aggiungeva anche un quinto elemento, l'etere, principio di vita
e motore di tutto. Si dice che papa Bonifacio VIII, notando che
tutti gli ambasciatori delle potenze del tempo erano di Firenze,
ironizzasse che i fiorentini fossero il quinto elemento
dell'Universo.
Si
dice . . . “fare il pianto greco”
Vuol
dire lamentarsi a lungo, lagnarsi vistosamente ed esageratamente di
qualcosa. Il modo di dire ha origini molto antiche e si ispira al
pianto delle
prefiche,
(dal latino “praefica”, preposta), donne che venivano ingaggiate
per disperarsi, cantare e lodare i defunti ai funerali. Queste
figure folkloriche, vestite di scuro, velate o con i capelli sciolti,
sono documentate fin dall'antico Egitto, furono assai presenti in
Grecia e si diffuso per tutto il Mediterraneo e nell'antica Roma. E
la tradizione non è del tutto scomparsa anche ai giorni nostri. La
si può ritrovare nelle zone rurali di Grecia, Albania e Romania e
nel meridione d'Italia è sopravvissuta in terra d'Otranto.
Si
dice . . . “essere alla prova del nove”
Vuol
dire sottoporre una persona, una situazione o anche un'ipotesi a una
verifica finale e decisiva. Il riferimento è a quel test di
controllo di un'operazione aritmetica tra numeri interi, in genere di
una moltiplicazione, che si insegna alla scuola elementare. La
prova del nove, conosciuta fin dall'antichità, consiste a ridurre a
numeri di una sola cifra, (quindi entro il numero 9), i
moltiplicatori e il risultato di una moltiplicazione e si effettua
per consuetudine ponendo le cifre ottenute agli angoli di una croce.
Va però detto che dal punto di vista matematico non si tratta di
una prova decisiva, avendo un margine di errore dell'11%.
Si
dice . . . “tenere un basso profilo”
L'espressione
“tenere (o mantenere) un basso profilo”, significa assumere un
atteggiamento discreto, che non dia nell'occhio, che eviti di
attirare l'attenzione. Viceversa definire una persona, un fatto o
una situazione di “basso profilo”, vuol dire attribuirle scarsa
importanza e mediocre significato. Il modo di dire è la traduzione
letterale dell'espressione di lingua inglese “to
keep a low profile”,
che vale proprio come “agire senza clamore”, muoversi in un modo
che non si noti. L'immagine si riferisce in particolare al profilo
fatto di case basse, skyline
un suo sinonimo, di una cittadina piccola e tranquilla senza torri e
grattacieli, che sono sinonimo si di prestigio e di benessere, ma
anche di maggiore affollamento e potenziali pericoli.
Si
dice . . . “sei balengo”
Dare
del “balengo” a qualcuno è un bonario insulto che sta per
squilibrato, bizzarro ma anche sciocco o matto. Il termine è
originario dei dialetti del nord, (Piemonte e Veneto ma non solo), ed
è stato reso popolare in tutta Italia, grazie agli sketch televisivi
della comica torinese Luciana Littizzetto. In letteratura è stato
utilizzato da scrittori come Guido Gozzano e Cesare Pavese. Incerte
e dibattute tra i linguisti sono invece le origini, l'etimologia del
termine. Secondo l'Accademia
della Crusca,
l'ipotesi oggi più accreditata, riconduce l'insulto alle forme
italiane “bilenco” e “sbilenco”, come dire: “storto,
malfermo”. E, a sua volta, la radice originaria va trovata
nell'antico francone “link” che sta per “sinistro” o
“mancino”, a cui si è aggiunto il prefisso rafforzativo latino
“bis”. Anticamente infatti, chi usava la parte sinistra del
corpo era considerato un minorato.
Care
amiche e cari amici siamo già arrivati alla fine di questo 2017 e il
2018 incalza. Un anno praticamente volato via.
Ammetto
di essere stato parecchio assente soprattutto qui sul blog; molti
meno post pubblicati e molte meno condivisioni, anche se ciò,
fortunatamente, non si è tradotto in meno contatti, anzi.
Questo
è il motivo del perché non vi ho scritto i consueti auguri di
Natale; sono tornato il 23 dicembre sera dalla Slovacchia e di tutto
avevo voglia fuorchè di scrivere.
I
motivi sono due e sono molto semplici; il primo è che sono
completamente immerso nel lavoro e le poche ore che mi concedo di
break, certamente non mi invogliano a scrivere.
Il
secondo è che la nostra cara Barbara, impareggiabile collaboratrice
del blog e anche di est consulting, si è felicemente laureata e per
cui anche lei, pressata dagli impegni di studio, ha dovuto
drasticamente ridurre il tempo a nostra disposizione.
Ma
sono comunque felicissimo per lei, perché si appresta a diventare il
miglior avvocato del foro di Rovigo.
Per
quel che mi riguarda non posso che essere più che contento e
soddisfatto dell'anno appena trascorso. Un anno difficile certamente,
ma sicuramente positivo. Ormai ci siamo abituati alle difficoltà,
soprattutto chi è costretto ad operare in Italia. Io all'estero mi
salvo, ma lo stress non perdona, è diventato una costante.
Probabilmente noi abbiamo assimilato quella giusta quantità di
stress che ci aiuta a rimanere giovani. Finito lo stress,
invecchieremo all'improvviso. Boh!? Chissà!
Spero
che anche per voi sia stato un anno fruttuoso e denso di
soddisfazioni, con pochi dispiaceri e malincuori.
Vi
annuncio che il 2018 sarà pregno di novità soprattutto
professionali e una ve la voglio già annunciare: est consulting, in
virtù della sua denominazione, si appresta ad andare sempre più a
est. Ma per il momento mi fermo qui.
Da
parte mia vogliate accettare il mio più sentito augurio di un
FORMIDABILE e STREPITOSO anno nuovo 2018, a Voi e a tutte le persone
che amate.
Un
augurio particolare a Diego, superlativo tecnological supporter del
blog e del sito est consulting.
Che
c’entrano i padri della teoria dell’élite con gli assetti della
finanza globale, legale o meno che sia? Inoltre: il declino della
politica, che si traduce in un’incapacità di incidere delle (e
nelle) democrazie è un declino tout court o è determinato (o
quantomeno condizionato) da altri fattori? E ancora: esiste davvero
quella che gli studiosi più recenti definiscono superclass,
cioè un ceto dirigente politicamente irresponsabile che gestisce le
sorti della società contemporanea, o è solo dietrologia? Esiste
davvero una lobby o esistono davvero più lobby
che gestiscono in
maniera ferrea il potere reale senza controllo né obbligo di
rendiconto alcuno? Secondo Giorgio
Galli,
il decano dei politologi italiani, e MarioCaligiuri,
il direttore del Master
in Intelligence
dell’Università
dellaCalabria,
queste riflessioni non sono solo l’esito di una subcultura allevata
nel mito della teoria del complotto. Anzi, niente subcultura né
miti. È tutto vero. Questo potere c’è. E siccome non c’è
potere senza potenti, ci sono anche i suoi titolari. I due studiosi
hanno cercato, riuscendoci, di tracciare un identikit della razza
padrona
che si è affermata dalla fine della guerra fredda in Come si comanda il mondo. Teorie, volti, intrecci
(Rubbettino,
Soveria Mannelli 2017). Alcune succose anticipazioni sul volume sono
uscite nel corso del convegno di presentazione del libro svoltosi il
23 novembre nella sala Nilde
Iottidi Montecitorio e al quale hanno partecipato, oltre i due autori, il
questore della Camera StefanoDambruoso,
che ha portato i saluti istituzionali, il sottosegretario alla
Giustizia Cosimo
Ferri
e il direttore del Centro
studiamericaniPaolo
Messa,
che hanno relazionato sul libro, e l’editore FlorindoRubbettino,
nelle vesti di moderatore. A proposito di dietrologie, val la pena di
citare la frase che, a mo’ di slogan, condensa il contenuto del
volume: «Il nome di James Stanley significherà molto poco eppure è
la prima delle 65 persone che realmente influenzano i destini del
pianeta». Infatti, lo si trova a stento su Google,
dove è possibile reperire i dati ufficiali delle sue attività
finanziarie. Come a dire che, nella società dell’informazione
globalizzata, il potere vero tende a nascondersi dietro muraglie di
calcoli e cortine di cifre sparse, dove il fumo dei numeri rivela e
copre la combustione fredda
di un potere ad alta intensità.
A
questo punto è chiaro che la sfida di Galli
e Caligiuri
non è tra le più semplici: tradurre in una cifra scientificamente
apprezzabile un materiale denso ma sfuggente, trattato finora
perlopiù da giornalisti assetati di dietrologia e a caccia di scoop.
«Il
tema di questo libro», ha spiegato Rubbettino
in apertura dei lavori, «non è stato finora trattato a livello
scientifico e nessuno ha posto in evidenza, sempre a livello
scientifico, il peso delle élite finanziarie, che si riproducono per
cooptazione e le cui composizione e consistenza sono sconosciute ai
più».
Tra
questi più,
ovviamente, non ci sono i due studiosi. Ma la forza della finanza è
anche l’esito (o, se si vuole insistere nella dietrologia, anche la
causa)
della debolezza della politica. Questo aspetto perverso dei rapporti
di potere è stato richiamato, con accenti diversi, da Messa
e Ferri.
Infatti, secondo il direttore del Centro
studi americani
«nel volume è implicito il forte appello alla politica perché si
riappropri del suo primato e contribuisca a ridurre le diseguaglianze
sociali». Secondo il sottosegretario, invece, il punto di forza di
Come
si comanda il mondo
è «la sua funzione pedagogica, indispensabile nella formazione e
informazione dei cittadini delle democrazie moderne». Il sottinteso
di Ferri
è tragico, sebbene espresso in maniera elegante: il potere
invisibile tende a diventare un potere spesso illegale e, in casi
sempre meno rari, criminale. Non a caso, nella sua lunga carrellata,
il sottosegretario ha insistito sul ruolo delle mafie e di alcune
lobby.
Ma
qual è la ricetta
che distingue davvero Come
si comanda il mondo
rispetto ai tanti volumi dai titoli sensazionalistici che ingombrano
interi scaffali delle librerie?
Giorgio
Galli
ha svelato almeno uno degli arcani:
«Non è vero che il potere sia nebuloso e difficile da individuare,
poiché risiede in gran parte nel nocciolo del capitalismo mondiale,
che si identifica nei dirigenti apicali delle cinquanta
multinazionali finanziarie individuate da uno studio del Politecnico
di Zurigo, su cui si basa il nostro libro». Il che vuol dire due
cose: che il potere è sempre visibile per chi lo sa cercare e che
cercare e conoscere il potere è il miglior modo per non subirlo.
E
infatti, ha aggiunto Galli,
«il nostro lavoro non intende demonizzare, ma capire e aiutare a
capire chi sono effettivamente le élite che determinano le scelte
politiche di fondo, come si relazionano e come si formano».
La
cassetta degli
attrezzi
utilizzata dai due studiosi è prestigiosa: è la teoria delle élite
elaborata tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’30 da Gaetano Mosca,
Vilfredo Pareto
e Robert Michels.
Ed è proprio l’applicazione dei criteri euristici elaborati dai
tre fondatori della scienza politica moderna al mondo dell’alta
finanza la carta vincente del volume. Questa scelta impegnativa
sottende anche, almeno per quel che riguarda l’Italia, una tirata
d’orecchi alle cordate finora dominanti nel mondo accademico, che
spesso hanno spinto nell’oblio, magari dopo averlo contestato sulla
base di pregiudizi ideologici, questo importante filone del pensiero
politico, con il risultato di spuntare le armi non solo alla scienza,
ma addirittura alla politica.
Caligiuri
ha concluso i lavori con una frase ad effetto: «Estrarre il segnale
dal rumore». Ovvero «imparare a identificare la realtà nel marasma
di informazioni spesso errate, confuse e artatamente distorte che
caratterizzano la società attuale in cui la comunicazione globale e
in tempo reale si traduce spesso in disinformazione».
Serve
altro? Probabilmente sì: leggere Come
si comanda il mondo per
capirne di più su chi, quasi senza farsene accorgere, ci comanda per
davvero.
Facciamo
finta che Tangentopoli
non
ci sia stata. E non per eludere una questione morale che nessuno,
soprattutto i più accaniti forcaioli, è riuscito a risolvere e che
ora si ripresenta al peggio.
Ma
perché il craxismo e la stagione del potere socialista non possono
risolversi in quell’inchiesta giudiziaria, che ha promesso tanto,
mantenuto poco e cancellato in maniera impropria una classe politica
intera. Con un solo risultato certo: il Psi
pagò
per quasi tutti e più di tutti colpe collettive. A tacere del fatto
che chi è venuto dopo e si è fatto strada a spallate in nome delle
Mani
Pulite (tali
soprattutto per incapacità di fare ed esclusione dal potere) è
riuscito a far peggio.
Ecco, non impegniamoci
in questa discussione e parliamo, invece, di politica. In questo
caso, lo impongono le date e le ricorrenze, che l’editoria celebra
con la consueta, necrofila precisione.
Al
riguardo c’è da dire che stiamo per assistere una curiosa
coincidenza di tre anniversari: l’imminente centenario della
Rivoluzione
russa,
il quarantennale della tragedia di Aldo
Moro,
che scatterà a partire da marzo, e, infine, il quarantennale del
Vangelo
Socialista,
il saggio con cui Bettino
Craxi,
alla fine d’agosto del 2008, operò, anzi dichiarò lo strappo
definitivo tra il suo Psi,
ereditato pressoché ai minimi termini dalla segreteria di FrancescoDe
Martino,
e quella parte della tradizione marxista rivista e corretta ad uso
rivoluzionario da Lenine
riadattata alla situazione italiana (ma non solo…) da Antonio
Gramsci.
La
storia è piuttosto nota: Craxifu
sollecitato nell’agosto ’78 da Livio Zanetti,
all’epoca direttore de l’Espresso,
a replicare a EnricoBerlinguer,
che aveva rilasciato in quel periodo un’intervista a Eugenio
Scalfariper
Repubblica.
In
quell’intervista l’allora (celebre e amato) segretario del Pci
confermò
il legame tra l’ideologia del suo partito e il leninismo, sebbene
riveduto e corretto per un improbabile uso occidentale. O meglio,
ammorbidito quel che a giudizio del grande leader sardo bastava per
non terrorizzare i ceti medi italiani che pure, in buona parte,
avevano scommesso sul compromesso storico e sulla conseguente,
sperata, svolta moderata del più grande partito comunista
dell’Occidente.
Craxirispose
firmando un saggio commissionato qualche tempo prima a Luciano
Pellicanie
dedicato all’anarchico francese Pierre-Joseph Proudhon.
L’articolo uscì il 27 agosto e fu una bella mazzata per molti
italiani, che ancora affollavano le spiagge.
Intitolato,
appunto, Il
Vangelo Socialista,
il saggio diede la stura a un dibattito, che sarebbe impazzato fino a
metà settembre su tutte le principali testate italiane, non solo di
sinistra.
Il
paragone con l’attualità risulta decisamente ingeneroso: oggi, pur
di vendere qualche copia sulle spiagge, i giornali e i periodici si
dedicano alle retrospettive della cronaca nera, di cui riscavano i
cold case più truci e pruriginosi, e, quando ne parlano, riducono la
politica a gossip. Allora, in quella torrida estate di 40 anni fa,
tra i topless patinati di Novella
2000 e
le note degli Homo
Sapiens,
gli italiani si dilettavano a scorrere e commentare il dibattito,
raffinato e furibondo al tempo stesso, ingaggiato dalle migliori
firme della cultura (politica e non solo) italiana sulle colonne de
L’Unità
e
di Avanti!
(quelli
veri), de Il
Manifesto,
del Corrierone,
di Repubblica,
ma anche di Rinascita,
de Il
Tempo e
de Il
Giornale Nuovo.
E non era roba da poco: in quell’occasione incrociarono le armi,
anzi le penne, big come Leo
Valiani,
Giuseppe
Bedeschi,
NorbertoBobbio,
Luigi
Pintor,
Claudio
Martelli,
lo stesso Luciano
Pellicanie
Luciano
Cafagna.
Scusate se è poco.
Oggi
è possibile godersi di nuovo tutta la querelle grazie all’iniziativa
di Nunziante Mastrolia,
politologo e docente di Geografia
politica alla
Luiss,
che ha ripubblicato tutti gli articoli in Il
Vangelo Socialista (Licosia,
Ogliastro Cilento, 2016). Quest’antologia, aggiungiamo per
completezza, riprende quella, ormai introvabile, curata nel ’78 da
Claudio
Accardi per
la milanese Sugarcoe
intitolata Pluralismo
o leninismo.
Ma
qual è il senso dell’operazione di Mastrolia?
Di sicuro il gusto per il vintage fa la sua brava parte. Ma c’è da
dire che il dibattito ritrova una sua particolare attualità grazie
alla crisi della sinistra odierna, priva letteralmente non solo di
concrete possibilità operative, ma anche di riferimenti culturali
concreti e convincenti.
Discettare
di socialismo, socialdemocrazia e leninismo e leggerli, come fece il
duo Craxi-Pellicani,
come elementi antitetici di un’unica tradizione culturale, allora
aveva un senso fortissimo: significava ricordare all’opinione
pubblica che la sinistra era un’entità politica plurale, a
dispetto anche di una certa lettura gramsciana canonizzata dalPcie
di cui Berlinguerera
nei fatti prigioniero,
più che compatibile, in alcune sue componenti, con le esigenze delle
democrazie occidentali.
Detto altrimenti: il socialismo poteva
realizzarsi nei sistemi liberali non solo senza spargimenti di sangue
(che anche il Pci,
va detto, aborriva), ma anche senza distruggere le garanzie dello
Stato di diritto elaborate dalle dottrine borghesi. Superare
la
liberaldemocrazia, insomma, non voleva dire distruggerla.
Mastrolia,
al riguardo, svolge un’ineccepibile operazione
verità nella
sua corposa Introduzione:
ricorda a tutti come il Berlinguerche
riteneva invece il leninismo compatibile con le democrazie non possa
essere considerato un riformista, ma, più semplicemente, fosse un
ostaggio. Della tradizione migliorista
inaugurata
da Palmiro
Togliatti(e
dalla rilettura togliattiana di Gramsci)
e della situazione internazionale dell’epoca, in cui l’Urssviveva,
grazie anche alla debolezza dell’amministrazione Carter,
l’ultima fase di espansione geopolitica, nella quale, così
avrebbero in seguito confermato i rapporti dell’intelligence
statunitense e non solo, il Pci
era
considerato ancora una pedina fondamentale (ma senza scavare troppo
negli archivi, si possono trovare conferme di questa situazione nelle
opere ponderose diValerio Rivae
di Viktor Zaslavskij).
Parlare di riformismo, in questo stato di cose - in cui il Pciera
ostaggio dei propri rapporti internazionali, forse non più di
sudditanza ma comunque di forte condizionamento, e la sua classe
dirigente prigioniera di una buona fetta della base e dei quadri –
ancora oggi risulta un azzardo.
Mastrolia,
basandosi sulla rilettura craxiana di Proudhon,
conviene su un fatto essenziale: anche nella versione ammorbidita di
Berlinguer,
il leninismo restava incompatibile con il nostro sistema
costituzionale, che inquadrava l’Italia nelle democrazie
occidentali ad economia capitalistica, basate sul pluralismo politico
ed economico. A riprova di ciò, il professore della
Luisscita
gli articoli 41 e 42 della Costituzione,
che tutelano la libertà d’impresa e la proprietà privata.
In
realtà la situazione è meno netta di come la dipinge Mastrolia:
è vero che la libertà d’impresa è tutelata dall’articolo 41,
ma è altrettanto vero che la stessa norma subordina questa tutela
alla funzione
sociale dell’impresa;
l’articolo 42, invece, tutela la proprietà solo in maniera
indiretta, non la definisce come diritto e rimanda ogni
specificazione alla legge ordinaria. In breve, come hanno argomentato
non pochi giuristi di vaglia, a partire da Stefano Rodotà,
queste norme risultano sostanzialmente ambigue, perché da un lato, è
vero, ancorano l’Italia ai sistemi occidentali, ma, dall’altro,
contengono clausole a favore di ipotesi di democrazia socialista.
Ciò, detto per inciso,
oggi non è un male: se i lavoratori hanno ancora una giurisprudenza
che li tutela lo si deve alla sostanziale indefinitezza di questi due
articoli.
Ma
a rileggerli in prospettiva storica appare chiaro che il primo
compromesso storico, di cui essi sono il frutto, fu stipulato
nell’Assemblea
Costituentee
che quello di Berlinguer
fu
il tentativo, meno forte di quanto non si creda, di aggiornare
quell’accordo con il mondo cattolico.
Mastrolia
non
risponde a una domanda che emerse dal dibattito di allora: come mai
Craxiomise
dal suo album di famiglia figure importanti come Turati,
che pure aveva tanto da dire ai riformisti? Fu semplice sciatteria
dovuta alla fretta oppure c’era dell’altro?
L’accostamento
traProudhone
Carlo
Rossellinon
è sciatto né casuale, ma rifletteva l’intenzione di creare la
rottura con la tradizione leninista non al di fuori ma dal di dentro
della cultura rivoluzionaria. Cioè, il tentativo di recuperare in
una nuova visione politica della sinistra, le critiche al leninismo
senza scivolare direttamente nella socialdemocrazia (e nel suo
problematico e virulento anticomunismo incarnato dal Psdi).
Passare da un anarchico a un liberalsocialista significava rompere
del tutto con una visione ottocentesca del socialismo, all’interno
della quale i riformisti classici avevano invece un ruolo di primo
piano, e rifondare il socialismo su basi libertarie, forse più
compatibili con l’idea del conflitto regolato dalle norme.
Significava,
inoltre, lanciare un’opa sull’area laica (repubblicani, liberali
e radicali), costretta altrimenti a barcamenarsi tra i blocchi di
potere della Prima
Repubblica,
a cui anche ilPsiera
di fatto subalterno.
Significava,
infine, rompere con una tradizione culturale che aveva ingessato la
sinistra e impedito un discorso costruttivo e ampio sulle riforme,
delegate al ruolo, questo sì egemone, della Dc.
Non
è un caso che il dibattito e il relativo affondo socialista sul
leninismo siano arrivati in quell’ultimo scorcio d’estate di
quarant’anni fa: col dramma di Aldo
Moroiniziava
il riflusso delle Br,
che sarebbero state sgominate a partire proprio dai quei mesi, e,
soprattutto, di quella cultura leninista di cui erano impregnate le
formazioni clandestine ed extraparlamentari italiane. L’affondo fu
tanto più insidioso perché portava un messaggio di
ridimensionamento del conflitto, se non addirittura di pace sociale,
a un’opinione pubblica stanca.
Comunque
sia, proprio grazie a quest’operazione Craxi
si
rivelò un leader di prima grandezza, dopo due anni circa di
segreteria caratterizzati soprattutto da esigenze di sopravvivenza e
tentativi di rinnovamento delPartito
socialista.
Chiedersi
perché queste istanze modernizzatrici, efficienti ed efficaci nel
Psi,
non si rivelarono altrettanto dirompenti nelle istituzioni non è
ozioso. Certo è, e lo hanno ribadito alla grande Simona
Colarizie
Marco
Gervasoninel
loro bel La
cruna dell’ago (Laterza,
Roma-Bari 2006), che la parabola di Bettino
Craxinon
può essere ridotta solo a una faccenda di tangenti e corruzione. Ha
pesato molto semmai, il fatto che Craxioperò
in un sistema sclerotizzato e all’interno di una situazione
mondiale, il bipolarismo
della
Guerra
Fredda,
prossima alla fine.
Ma il fallimento del
riformismo socialista resta una lezione inascoltata: non a caso,
tutti i tentativi posteriori di riformare il sistema italiano sono
falliti in maniera impietosa uno dopo l’altro.
Perché riprendere,
allora, un dibattito di quarant’anni fa? Perché no? La lezione,
forse non impartita bene, certo applicata male e di sicuro
inascoltata, partiva da lì.
È il caso, allora, di
riavvolgere il nastro e prendere appunti: i fallimenti dei giganti ci
aiutano a capire meglio i nostri.