est consulting

est consulting
Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

lunedì 28 ottobre 2013

Il nostro tempo è denaro degli altri.

Arrivò a Milano a metà degli anni 80. Si era appena laureato in matematica, veniva da Reggio Calabria e doveva fare un colloquio di lavoro. Nello spot dell'amaro Ramazzotti, una radiosveglia trillava entusiasmando l'intero universo: un'altra "giornata che non è mai finita” iniziava nella Milano da bere.
"Forse era destino", mi dice oggi Francesco Triglia, "ma la prima cosa che notai furono gli orologi pubblici. Erano tanti, verdi, rotondi. In corso Buenos Aires ne contai tre in pochi metri e mi bloccai per controllare se scattavano in sincrono. Ero stupefatto. Non sapevo che sarebbero stati la mia vita".
Venticinque anni dopo, il dottor Triglia, è direttore generale di Ora Elettrica, la compagnia che per oltre 80 anni, dal 1929 al 2011, si è occupata di fare funzionare gli orologi pubblici della prima città italiana, ad istituire una rete elettrica oraria, la più antica ed estesa d'Europa. Da due anni, però, la gestione è passata di mano. Passeggiando racconta dell'orologio atomico di Mainfilingen in Germania, e di quello del Galileo Ferraris di Torino; spiega che la pausa lunga nel "segnale orario RAI", annuncia lo scoccare del minuto; parla di satelliti, computer e di orologi "master & servants".
Rievoca l'epoca d'oro dell'orologeria industriale: "La precisione era fondamentale, i badge non esistevano e bisognava timbrare il cartellino. Una rete di cavi collegava tutti gli apparecchi della città e squadre di addetti erano al lavoro ogni giorno per monitorare, riparare, sostituire". Poi si arresta: "Ecco, guardi, lo sapevo: quello lì è avanti due minuti… Quello invece è indietro… Ma lo sa che ne ho visti alcuni che sono ancora fermi all'ora legale ?"
 
Forse gli orologi pubblici non servono più. Sopravvivono come arredi retrò. L'ora esatta non bisogna cercarla, ci cerca lei. E sui telefonini, alla radio, in TV, su ogni pagina aperta di Internet, sul cruscotto delle auto e sui display delle moto. Gli orologi da polso si sono trasformati in gioielli. Accade al tempo quello che capita alla vita: un'erosione progressiva della distinzione tra sfera pubblica e privata. Ogni gesto lascia una traccia e, quindi, diventa pubblico.
È un'estinzione lenta, progressiva, ma è da molto che galli, campane, muezzin, sirene delle fabbriche, hanno smesso di farsi sentire e scandire l'esistenza. Al loro posto è rimasta un'estenuante giornata che non finisce mai - come nello spot dell'amaro Ramazzotti - e rimane a disposizione di chi riesca a catturare la nostra attenzione.
Il primo orologio pubblico di Milano, entrò in funzione il 1 gennaio 1875. Doveva misurare il tempo comune. "Per decenni il nostro referente", spiega Triglia, "è stato il Demanio e Patrimonio, l'Assessorato alla casa. Adesso gli orologi sono passati all'arredo urbano, quello che si occupa di pubblicità". Passeggiamo per corso Vittorio Emanuele, a pochi passi dal Duomo. Fa freddo. La gente cammina veloce. In pochi metri ci sono tre orologi. "Li vede?", indica Triglia, "due sono in acciaio, ma uno è grigio. Sono tutti diversi, ormai. Ma non è questo. È che noi eravamo orologiai prima di tutto. Stavamo attenti a non raccogliere troppa pubblicità di agenzie di pompe funebri e sexy shop, e c'era una legge non scritta: nel corso la pubblicità non doveva esserci".
Ora è sotto ogni orologio. Tempo e commercio coincidono. Non è soltanto lo spazio pubblico, e anche il tempo pubblico a essere diventato compiutamente pubblicitario. Il nostro tempo è denaro degli altri.

Giacomo Papi

mercoledì 23 ottobre 2013

Il piccolo paniere Istat del crack finanziario.


La cosa migliore della fine del mondo è che ti sospinge a pensare a ciò che ti serve, per molte ragioni, tra le quali l'amore. E ti costringe a ridare attenzione alle cose. E' questo il cuore di theburninghouse.com, il sito che raccoglie foto di oggetti da salvare in caso di incendio.
E' questa la scoperta di un piccolo gioco-sondaggio che ho svolto via sms tra amici : “Cari tutti, la grande depressione è in arrivo. Immaginate di andare a vivere in campagna, con una mucca, api e galline. Nel gioco potete portare 5 oggetti concreti, (persone e capolavori sono vietati), che possono essere anche inutili, se per voi necessari. Se vi sembra una decisione troppo difficile andate a contare i flaconi del bagno. I miei sono 71, medicine escluse. Adesso tirate un bel respiro. E' giunto il momento delle scelte”.
La risposta è stata immediata. Sms dopo sms l'umanità si è divisa tra apocalittici e serafici, diradando la selva intricata e colorata delle merci, per lasciare intravedere un paesaggio nascosto. Hanno vinto i libri (16), precisamente la Bibbia e l'opera omnia di Shakespeare (ex aequo con 3 voti), mentre in 8 hanno scelto matite, carta e inchiostro. Al secondo posto i computer (10). Al terzo, la prima sorpresa, le biciclette (8) stravincono il confronto con automobili (2) e Vespe (1). La chitarra ottiene ben 4 voti (1 il pianoforte), come sigarette, cioccolato e radio. Nessuno, invece, ha scelto la TV. Il fuoco ha avuto 5 voti (tra pietre focaie e accendini), le torce a manovella 2 e i pannelli fotovoltaici 3.
Le armi hanno avuto 4 preferenze, le medicine solo 1 come scheda Sky e telefonino. Ci sono anche 4 coltelli, 5 pentole, vanga, badile, sega, kit da cucito, lavastoviglie e frigorifero. Uno si è ricordato la moka, un altro il secchio, (se no come mungi la vacca ?). I gatti sono 2, il cavallo è 1 solo. Nei cibi stravincono i semi (5). Uno salva una pianta di vite. Uno la grappa. Un altro “birrette”. Compaiono anche spaghetti al pomodoro e farina.
Sul versante “tempo libero”, i giochi sono 7 (tra cui 2 palloni, 2 pupazzi, backgammon e Wii) ; scarpe, abiti e gioielli 10 (menzione speciale per : “il vestito di Lanvin di mia nonna”) ; tra correttori, creme contorno occhi, trucchi, rimmel e il “mio beauty case” si arriva a 7 voti. Gli stessi che hanno ottenuto le fotografie, (dei miei cari, per ricordarmi chi ero, di mia madre da ragazza).
E' un campione minimo. Vero. Ma è una specie di piccolo paniere Istat del crac finanziario dove non ci sono televisioni, le auto sono due e il telefonino solo uno. Mancano, cioè, le tecnologie che utilizziamo di più, quelle di cui siamo più schiavi. Non è questione di tornare all'indispensabile, come predicano i profeti della decrescita. La povertà continuerà in eterno a essere brutta, (un sms : “Contro la grande depressione, mi porto gli antidepressivi”).
E' questione di sgombrare lo sguardo e ritrovare attenzione per ritornare a scegliere nella propria vita come al mercato. In molte risposte, soffiava più gioia che in un grande magazzino di lusso alla vigilia di Natale per questa ragione. Come canta in Apocalissex Kiki Kawasaki, cantante giapponese nipote del grande poeta : “La fine del mondo sarà un vero casino se ti scordi spazzolino e telefonino”. Ha dimenticato che cosa le rispondeva il nonno quando da piccola insisteva per avere un regalino : “Un giorno la serpe prese casa e diventò lumaca. La gazza rubò tant'oro da non poter volare”.

Giacomo Papi


giovedì 10 ottobre 2013

La gita in Autogrill.


AZNALUBMA è assurdo, ma un po' lo capisco: qualche scimunito completo in giro c'è sempre. La sequenza sarebbe: avvisti nello specchietto un veicolo bianco con la sirena urlante, una croce e una scritta, e ti chiedi: "che cosa sarà mai ?"
A quel punto leggi, e capisci: "Toh, guarda! È un'ambulanza!… Un' aznalubma!" C'è gente che schiatta se non legge le istruzioni su come respirare, scrivere al contrario perché nel riflesso la scritta appaia diritta mi pare perdonabile, benché eccessivo. Quello che, invece, mi manda ai pazzi e leggere sull'asfalto dell'autostrada "Servizio di Area" invece che "Area di Servizio". Ad alta velocità si fa in tempo a leggere solo dal basso verso l'alto. Invece io so leggere in un unico modo, dall'alto in basso, e servizio di area mi fa pensare a un'espressione gergale del tennis. E poi, nessuno sfreccia a 800 km all'ora, non siamo Beep Beep e Willy Coyote, nessuno si muove così in fretta da trasformare il paesaggio in una poltiglia visiva indistinta come nei cartoni animati. E allora perché? I cartoni animati centrano qualcosa?
Il primo autogrill italiano non si chiamava autogrill, il marchio arrivò solo nel 1977. Spuntò sulla Milano-Torino nel 1947, a Veveri, nei pressi del casello di Novara. L'industriale dolciario Mario Pavesi aveva pensato di costruire sull'autostrada un punto vendita per i suoi biscotti. L'architetto era Angelo Bianchetti. Il successo fu immediato. Motta e Alemagna lo imitarono con gli architetti Melchiorre Bega e Angelo Casati, e presto arrivarono gli autogrill a ponte, sospesi come serpenti volanti su entrambe le corsie di marcia. Per gli automobilisti degli anni 50 e 60 rappresentarono il nuovo, anche se il modello era antichissimo: le osterie con le stazioni di posta e il cambio dei cavalli, i bordelli sulle vie dei pellegrini e le oasi nel deserto. Ma il modello - sosta e consumo, parcheggio e carrello - preannunciava anche noi.
Preparava i supermarket e i centri commerciali di oggi. A essere nuova era l'estetica, perché nuova era l'ideologia che l'aveva partorita.
La scelta doveva essere sempre strabordante e la merce universalmente accessibile, voluttuosa proprio perché voluttuaria, una sfilata di transistor, spumanti, pupazzi, cioccolati e salami. Era un mondo pragmatico dove si correva veloce e si consumava correndo.
Racconta un signore che nel 1960 aveva 10 anni: "La domenica con la mia famiglia andavamo in gita all'autogrill Pavesi di Lainate per mangiare il panino Quick, veloce, che era poi l' hamburger di McDonald's". La storia scivolava sotto le gomme come un nastro d'asfalto, e bisognava sbrigarsi, perfino a mangiare - glup ! - come nei cartoni animati. L'idea di ribaltare la scritta - Servizio di Area - forse venne allora, in un'epoca che si concepiva veloce come un cartoon americano, ma che era ancora popolata di persone poco alfabetizzate che leggevano con lentezza. Era una ingenuità ottimista ma triste, un po' da fumetto, che provoca un po' di nostalgia.
Dopo decenni di elogi della lentezza, citazioni di Pasolini e presidi Slow Food - di nostalgia per l'Italia povera contadina, insomma - oggi che stiamo diventando poveri davvero si inizia provare rimpianto per quando eravamo ricchi e fiduciosi.
"In quinta elementare, come regalo di promozione", continua il signore che nel 1960 aveva 10 anni, "mio papà promise di portarmi a mangiare il Quick in autogrill. Non ce la fece mai. Ho aspettato quel momento per tutta la vita. È stata la delusione più grande della mia infanzia".
È la trama esatta di "Gita al faro" di Virginia Woolf, trasportata all'epoca del boom. "La nostalgia è tempo che si è fermato", scrisse Junichiro Kawasaki, poeta, all'amico Gafyn Llawgoch, anarchico, "è il seme ha nostalgia del cielo, mai della terra".

Giacomo Papi


sabato 5 ottobre 2013

Gli ingredienti vincenti della formula Ferrari.


Qui, alle pendici degli Appennini, vengono costruite le auto più belle e desiderate. Qui ha sede la squadra più vincente nella storia dell'automobilismo, qui vengono rivoluzionate le leggi che regolano domanda e offerta, creando una scarsità artificiale vendendo sempre meno di quanto il mercato richieda. Recentemente a Maranello si è tenuto un incontro con circa 300 testate provenienti da oltre 35 diversi paesi, per capire cosa fa della Ferrari un'azienda unica nota in tutto il mondo, quali sono gli ingredienti della "Formula Ferrari".
A illustrare "la ricetta" Ferrari il suo presidente Luca Cordero di Montezemolo, in carica dal 1991 quando tornò da numero uno in quell'azienda che lo aveva visto giovane team manager a metà degli anni 70, un periodo in cui riportò alla vittoria la Scuderia Ferrari con ben tre titoli costruttori e due piloti.
Al suo ritorno Montezemolo trovò un'azienda orfana del suo fondatore, Enzo Ferrari era scomparso nel 1988, ancorata al nome ma che, come ha ripetuto spesso, era come "una grande attrice da un grande passato, cui nessuno offriva più una parte".
Montezemolo rifondò l'azienda rifocalizzando il prodotto sulle caratteristiche di innovazione ed esclusività che aveva un po' perso, rifondò la squadra di Formula Uno che doveva tornare a vincere ma, soprattutto, rimise al centro le persone che, come ha più volte sottolineato, "sono il principale patrimonio della Ferrari".
Concetto ripreso in apertura dell'incontro di Maranello parlando delle 3000 persone provenienti da 29 diversi paesi che sono al centro di Formula Uomo. E questo il nome della filosofia di gestione dell'azienda, ispirata da Montezemolo, che prevede che le persone siano il fulcro perché "per costruire vetture straordinarie, ci vogliono persone altrettanto straordinarie che devono poter lavorare in ambienti a loro dedicati".
È per questo motivo che nel campus di Maranello, dove le vetture del Cavallino Rampante vengono progettate e realizzate in tutti i passaggi produttivi - dalla fonderia al prodotto finito pronto per essere consegnato in 61 mercati nel mondo - abbondano luce naturale, controllo della qualità dell'aria e del rumore, ergonomia degli spazi e aree verdi persino all'interno delle officine.
Le attività produttive sono un mix perfettamente bilanciato, di artigianalità e tecnologie avanzate, dove l'abilità e la qualità delle persone vengono esaltate nel lavoro quotidiano, mentre alle macchine vengono lasciati i compiti più pericolosi e ripetitivi.
Alla domanda su quali siano gli ingredienti della formula Ferrari, Montezemolo ha così risposto: "il nostro spirito di squadra, la nostra passione, la nostra tecnologia estrema e la nostra esclusività".
Fondamentali gli investimenti in innovazione, una delle chiavi di volta del successo della Ferrari - nessuno dei modelli in gamma segue le stesse linee di design, ognuno è unico: dalle 12 cilindri come la FF alle otto cilindri come la California, ancora il modello più venduto negli Usa. Montezemolo sintetizza la strategia dell'azienda dicendo che oggi produce, "diverse Ferrari per diversi ferraristi, ovvero sempre vetture sportive ed esclusive, ma con missioni e architetture diverse per soddisfare ogni esigenza".
A proposito di esclusività Montezemolo ha annunciato di non voler aumentare il numero di Ferrari stradali prodotte nel 2013, che sarà inferiore alle 7000 unità. "Voglio che Ferrari resti esclusiva" -ha spiegato. "Una Ferrari e come una bellissima donna, deve valere la pena di farsi desiderare. Mi rifaccio a ciò che ho imparato da Enzo Ferrari: se produciamo meno non inonderemo il mercato e ciò renderà anche le nostre vetture usate più desiderabili". Questo a fronte di risultati economici straordinari che la Ferrari continua a mettere a segno, tanto che dopo il 2012, il miglior anno della storia, anche il primo trimestre 2013 si conferma in crescita. Un totale di 1798 vetture stradali vendute, escludendo le prevendite de LaFerrari, per un incremento del 4% rispetto al primo trimestre del 2012. Anche i ricavi sono aumentati fino a 551 milioni di euro, un aumento del 8%. L'utile della gestione ordinaria sale al 42% raggiungendo 80,5 milioni di euro, con un profitto netto superiore del 36,5% con 54,7 milioni di euro.
Una decisione importante che il presidente ha ribadito "di aver voluto prendere adesso quando siamo in un periodo positivo. È in questi casi che si devono prendere le decisioni strategiche e non quando si è in difficoltà e si è guidati dalla necessità".
Montezemolo ha annunciato che quest'anno ci saranno 250 nuove assunzioni, con un aumento del 20% degli operai, oltre a opportunità di promozione a ruoli impiegatizi per 100 operai durante il prossimo triennio. "Il mio sogno è quello di essere sostituito da qualcuno che sia cresciuto qui iniziando come operaio"-dice Montezemolo con entusiasmo. Non è stato annunciato solo l'investimento in nuova forza lavoro, ma anche i "100 milioni di investimenti da oggi al 2015 nell'ambiente di lavoro".
Fra tanti titoli mondiali vinti in Formula 1 con la Scuderia Ferrari, (15 titoli piloti e 16 costruttori, di cui rispettivamente 8 e 7 vinti sotto la presidenza di Montezemolo), uno dei premi in cui l'azienda va più fiera è il Best Place to Work in Europe, riconoscimento attribuitole da una ricerca condotta sotto l'egida del Financial Time.
Il presidente ha voluto inoltre enfatizzare che Ferrari è un marchio di straordinario successo in tutto il mondo, come testimoniano i 95 articoli del cavallino rampante venduti al mondo ogni minuto. Con una presenza internazionale in più di 61 paesi, ci sono attualmente 54 concessionari in Usa, 27 in Greater China, (un numero destinato ad aumentare), 101 in Europa, Medio Oriente e Asia, (EMEA), e 17 nel Far East, anch'essi in crescita.
Anche in questo caso oltre le cifre c'è una certificazione esterna, come quella della prestigiosa società inglese Brand Finance che ha stabilito che Ferrari è il "brand più forte al mondo", precedendo marchi come Coca-Cola è Apple.
Inaugurato in questi giorni anche il nuovo Ferrari Store che ha recentemente riaperto di fronte alla fabbrica. Il punto vendita è stato ampliato fino a 650 m² con un nuovo design, concepito per offrire ai clienti un assaggio di tutte le anime del mondo Ferrari, e che servirà da capostipite per tutti gli store del Cavallino Rampante nel mondo.
 
Anche il museo Ferrari è stato ampliato, ed è pronto a superare il record di 250.000 visitatori raggiunto lo scorso anno. Significativi gli investimenti per la sostenibilità fatti in materia di ricerca e sviluppo per ridurre le emissioni di CO2 e aumentare al tempo stesso potenza e guidabilità.
Circa il 17% del fatturato annuale è investito nello sviluppo del prodotto: attraverso questo impegno, si è anche raggiunto nell'ultimo quinquennio, l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 40% pur in presenza di un aumento della potenza pari a 100 HP. Come ha ricordato l'amministratore delegato Amedeo Felisa, l'investimento in ricerca e sviluppo rivolto a un'ulteriore riduzione delle emissioni per i prossimi cinque anni, sarà di 250 milioni di euro.
L'obiettivo è stato raggiunto lavorando sull'intero sistema veicolo, inclusa la riduzione del peso delle vetture, ottenuta con l'uso di ben 12 diverse leghe di alluminio.
Nella visione del futuro l'attenzione alla sostenibilità, come peraltro è stato in maniera sempre più rilevante negli ultimi anni. Se è vero che il consumo di energia per la produzione è cresciuto del 10% fra il 2008 e il 2012, le relative emissioni di CO2 sono diminuite addirittura del 40%. Tutti i nuovi edifici sono costruiti con criteri ecosostenibili: le strutture che ospiteranno da qui a due anni la Scuderia Ferrari saranno a emissioni zero, un risultato che anticipa nettamente gli standard europei previsti per il 2020.

Stefano Lai